L’Europa non sarà più la stessa. Un concetto che è stato riassunto dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel con una frase a effetto: “Ci siamo svegliati in un’Europa diversa, in un mondo diverso”. In effetti, ancora una volta nella storia dell’Europa una guerra al suo centro minaccia non solo gli equilibri nel nostro continente, ma nel mondo intero. Questa centralità non ci fa molto piacere.
Eravamo ormai abituati da decenni a delegare in toto la nostra sicurezza agli Stati Uniti e alla Nato. Ci eravamo davvero dimenticati delle nostre responsabilità e avevamo puntato tutto, o quasi, sulla crescita della nostra economia e della nostra società. L’aggressione russa all’Ucraina non assomiglia alle guerre nella ex-Jugoslavia che avevano un carattere di conflitto interno feroce, ma circoscritto. Anche allora dovemmo chiedere l’aiuto della Nato per riuscire a pacificare, almeno parzialmente, quella problematica regione.
Le paure dell’Europa
Oggi invece il grande timore degli europei è che la volontà imperiale della Russia non si fermi ai confini occidentali dell’Ucraina, se l’invasione dovesse continuare. Ma poi, chissà, potrebbe toccare alla Moldavia o nuovamente, dopo l’aggressione del 2008, alla Georgia. E non è da escludere che le mire di Vladimir Putin si estendano anche ai paesi Baltici, soprattutto Estonia e Lettonia che già confinano con l’invadente vicino. Magari non si tratterà di un’azione militare, dal momento che i due paesi fanno parte della Nato. Ma vi sono altri mezzi, politici e di ricatto, che possono essere utilizzati dal nuovo zar per riprendersi gli spazi di influenza persi dopo la fine della Guerra fredda.
Sono questi scenari da incubo che cambiano la situazione geopolitica europea di questi ultimi anni. Finisce il sogno di allargare gradualmente la nostra area di democrazia e libertà anche a quei paesi che sono rimasti esclusi dai successivi allargamenti dell’Ue ad est, fra cui anche l’Ucraina. L’Unione si era infatti inventata una politica, cosiddetta di vicinato, che nelle intenzioni doveva preparare i paesi non ancora membri dell’UE a rafforzare il carattere democratico dei propri sistemi interni sia istituzionali che economici, sposando il nostro modello liberale. Era una politica offerta non solo ai paesi dell’Est, ma anche a quelli del Caucaso.
Oggi il risveglio è stato brusco. Il vero rischio è di trovarci nuovamente davanti ad una cortina di ferro che affosserà ogni speranza di dialogare con il resto dell’Europa. Questa volta non sarà con il comunismo che ci dovremo confrontare, ma con un regime dittatoriale molto più difficile da comprendere nelle sue mosse e ambizioni espansionistiche.
Versailles: solo buone intenzioni
È quindi giunto il tempo di ripensare, questa volta radicalmente, il tipo di Unione europea adatta ad affrontare la nuova sfida. Tutti, o quasi, hanno lodato in questi drammatici giorni la “nuova” coesione dell’UE. Si è ripetuto infinite volte che ormai, di fronte alla minaccia militare, l’Unione aveva imboccato una nuova strada. Ci sia permesso di esprimere al riguardo tutti i nostri dubbi. Il tanto celebrato Consiglio europeo di Versailles della scorsa settimana, svoltosi in una cornice sfarzosa che faceva a pugni con le immagini di distruzioni in Ucraina, non ha partorito altro che buone intenzioni.
Certamente l’Ue dovrà dotarsi di una politica energetica comune, per negoziare meglio la nostra dipendenza dalla Russia, ma anche per trovare risorse comuni tali da abbassare i prezzi eccessivamente alti degli idrocarburi. Così pure bisognerà affrontare il tema della politica di difesa comune e di attrezzarci per coordinare meglio le nostre spese nazionali nel settore. Ma anche per questo ci vogliono soldi. Non appena qualcuno, Italia e Francia in testa, ha proposto di dare vita ad investimenti comuni per rendere effettive queste nuove politiche, ecco riapparire il fronte dei paesi frugali, fra cui purtroppo la stessa Germania, a bloccare ogni proposta in questa direzione.
La questione dei rifugiati
Così anche la grande solidarietà nei confronti dei rifugiati ucraini ha mostrato nel concreto ambigui limiti. È vero che si è deciso di saltare tutte le pratiche relative alle richieste di asilo e si passerà automaticamente allo status di rifugiati per gli ucraini. Ma con questa mossa si stanno creando immigrati di serie A e di serie B. In effetti in Danimarca, ma non solo, si sta premendo per rimandare nel loro paese d’origine i siriani fuggiti in questi anni. Così pure nulla cambierà per l’immigrazione dall’Africa sulle coste dei paesi del sud dell’Unione, che dovranno rinunciare, come è ormai prassi, a condividere i richiedenti asilo con il resto dell’Ue.
La verità è che questa Unione è gestita dai governi dei 27 paesi membri, che rispondono ai loro, spesso gretti, interessi nazionali. Finché non si rinuncerà alla ferrea regola dell’unanimità, finché non si penserà seriamente ad un governo politico europeo, finché non potremo contare su una effettiva politica estera e di sicurezza comune non vi saranno progressi di sorta. E nel frattempo l’influenza della Russia e dei regimi dittatoriali in Europa continuerà ad estendersi e a minacciare la nostra democrazia. Mentre sullo sfondo l’America si concentrerà sempre di più sui rapporti con la Cina e continuerà ad agire per proprio conto, come dimostrato nel caso del ritiro dall’Afghanistan o, anche, nel dialogo strettamente bilaterale fra Joe Biden e Vladimir Putin alla vigilia dell’avvio delle operazioni militari in Ucraina. Sarà un’Unione, in definitiva, sempre più isolata.
Foto di copertina EPA/IAN LANGSDON