22 Dicembre 2024

Erdoğan, l’attentato di İstiklal e la ‘sindrome di Sèvres’

L’attacco bomba del 13 novembre scorso, avvenuto nella famosa İstiklal Caddesi, la via dello shopping di Istanbul e vicinissima all’altrettanto nota piazza Taksim, ha causato la morte di sei persone e il ferimento di diverse decine. Per Recep Tayyip Erdoğan è stato il momento del ‘pugno duro’: alcuni giorni fa, infatti, il presidente turco ha dichiarato di volersi impegnare,  a combattere contro il Pkk, ritenuto dall’Akp l’autore dell’esplosione di Istanbul.

Un’azione, quella di Erdoğan, che arriverà “fino alla fine”, ha dichiarato, con la promessa di sradicare lo stesso Pkk dall’Iraq, dalla Siria e dal territorio turco.

Istanbul ferita 

Un attacco vile avvenuto in pieno centro a Istanbul in un orario di punta per la già tanto frequentata İstiklal Caddesi. Poche ore dopo, le forze di polizia turche hanno arrestato una donna di origine siriana.

Il Pkk, ritenuto un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dai paesi occidentali, ha però dichiarato di essere totalmente estraneo all’attentato, che non ha quindi rivendicato. La paura degli attentati è quindi tornata in Turchia, dopo la lunga stagione di sangue che negli anni precedenti culminò con la strage di Ortakoy. Il Pkk è stato autore di azioni terroristiche già negli anni precedenti e con maggiore intensità nel periodo tra il 2015 e il 2017, con l’intenzione di richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla situazione del popolo curdo.

È tuttavia necessario precisare come il modus operandi del Pkk è solitamente diverso, per modalità e obiettivi, rispetto a quanto accaduto a Istanbul lo scorso 13 novembre. Tradizionalmente, infatti, il gruppo non colpisce civili, ma bersagli principalmente legati a forze governative turche. Tuttavia, dopo il cessate il fuoco unilaterale dichiarato del Pkk del 2013, si sono registrati attacchi di matrice curda contro la popolazione civile, come accadde con l’esplosione di un’autobomba nel parco di Guven, ad Ankara, del 13 marzo 2016, che causò 37 vittime, tutte civili. Quello sulla İstiklal Caddesi, però, non avrebbe ad oggi una connessione con obiettivi politici o militari.

La risposta di Erdoğan 

Per il presidente turco, che si avvicina alle elezioni del 2023 (dovrebbero tenersi il 18 giugno, qualora non venissero anticipate), quando la Turchia per la prima volta eleggerà direttamente il suo presidente, la questione curda torna, con cadenza regolare, alla ribalta, anche con fini propagandistici ed elettorali. “Da qualche giorno – ha dichiarato il presidente turco lo scorso 22 novembre durante la cerimonia di inaugurazione della diga di Artvin Yusufeli e della centrale idroelettrica nella provincia nordorientale di Artvin – siamo alle costole dei terroristi con i nostri aerei, l’artiglieria e i SİHA e contro gli obiettivi del Pkk e dello Ypg nelle regioni settentrionali della Siria e dell’Iraq. D’ora in poi, per noi c’è solo una misura. C’è un solo limite. È la sicurezza del nostro Paese, dei nostri cittadini”, ha detto Erdoğan, sottolineando che condurre operazioni contro i gruppi terroristici è il “diritto più legittimo” della Turchia.

Il riferimento è all’operazione Claw-Sword, lanciata il 20 novembre sulle regioni settentrionali di Siria e Iraq. Il gruppo Sdf (Forze Democratiche Siriane) ha dichiarato che cinque attacchi aerei turchi hanno preso di mira le forze di sicurezza curde che sorvegliano il campo di detenzione di al-Hol, dove sono detenuti alcuni militanti dello Stato Islamico. Nel frattempo, secondo quanto riportato dalla BBC, l’esercito statunitense ha dichiarato di essere preoccupato per l’escalation di violenza ai confini tra Turchia, Siria e Iraq. Dello stesso avviso anche la Russia, alleata di Damasco, che insieme all’Iran si era opposta nei mesi scorsi a nuove operazioni turche contro la Siria.

La questione curda e le elezioni alle porte

Negli ultimi 20 anni, Erdoğan ha affrontato la questione curda in sintonia con le proprie esigenze politiche, senza manifestare, ideologicamente, una politica di pace e inclusione. Non va infatti dimenticato che dietro alla questione resta lo spettro della cosiddetta sindrome di Sèvres (dal trattato firmato dopo la fine della Prima guerra mondiale che smembrò l’Impero Ottomano), usata da Erdoğan per giustificare le azioni di sicurezza nazionale e gli attacchi perpetrati contro il popolo curdo.

L’evidente attrito tra Öcalan e Demirtaş, sull’appoggio a Ekrem İmamoğlu, attuale sindaco di Istanbul ed esponente del partito repubblicano (CHP), oggi all’opposizione sul fronte nazionale, offre a Erdoğan la possibilità di insistere sulla questione curda e di politicizzarla ulteriormente in vista delle elezioni del 2023. Le divisioni all’interno del movimento curdo potrebbero così acuirsi, con un possibile astensionismo di una parte degli elettori curdi che vivono nel sud-est della Turchia.

Foto di copertina EPA/HOW HWEE YOUNG

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