Sabato 17 dicembre si sono svolte le elezioni parlamentari in Tunisia, a chiusura di una campagna elettorale evanescente. L’opposizione (inclusa quella islamista, nemica giurata del presidente Kaïs Saïed che ha voluto una Costituzione che non riconoscesse l’Islam come religione di Stato) ha boicottato esplicitamente le elezioni e i tunisini sono alle prese con un’inflazione del 10% e una costante penuria di alcuni generi alimentari, come latte e zucchero.
L’astensione più alta di sempre
Il risultato più importante di queste elezioni non riguarda chi ha vinto più o meno seggi in un Parlamento esautorato dei suoi poteri (i risultati parziali si sapranno nella giornata di lunedì e quelli definitivi solo mercoledì), ma quello dell’affluenza: solo l’ 8,8% di tunisini si è recato alle urne. È l’affluenza più bassa mai registrata in un’elezione nella storia mondiale contemporanea: circa la metà dell’affluenza alle elezioni in Afghanistan nel 2019 (19%) e dell’affluenza alle elezioni ad Haiti nel 2015 (18%).
Per fare un paragone con le passate tornate elettorali tunisine, nel 2014 l’affluenza alle urne aveva superato il 64%, mentre nel 2019 era stata del 41,7%.
Un vero e proprio “naufragio democratico“, come commentano in molti su Twitter, per il Paese che ha dato i natali alle primavere arabe, con la sua Rivoluzione dei Gelsomini del 2011.
La speranza, nutrita da molti, di un consolidamento democratico della Tunisia si stava affievolendo da tempo e le preoccupazioni sono state confermate dalla Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli che ha recentemente ammonito la Tunisia al rispetto della democrazia a seguito della svolta autocratica imposta dal presidente Kaïs Saïed.
Verso l’autoritarismo
Dopo il referendum farsa che aveva sancito l’adozione della nuova costituzione nel luglio di quest’anno, nonostante solo il 27% degli aventi diritto avesse votato, i tunisini hanno perso qualunque speranza nel processo democratico del Paese e hanno deciso di disertare le urne in massa.
D’altronde, anche il Parlamento Europeo ha ritenuto di non inviare osservatori, astenendosi dal commentare sia il percorso, sia i risultati elettorali, in una mossa che, facendo riferimento sia alla Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, sia a un parere urgente della Commissione di Venezia – un organo consultivo del Consiglio d’Europa per le materie costituzionali – sul quadro costituzionale e legislativo della Tunisia, appare piuttosto critica.
Insomma, con un Parlamento sospeso e una legge elettorale cucita sugli interessi del Presidente, sembra che queste elezioni segnino un altro passo della Tunisia in direzione di un regime autoritario.
Il presidente del Front de Salut national (una coalizione di cinque partiti d’opposizione), Ahmed Néjib Chubby, ha già dichiarato che il presidente Kaïs Saïed, “non ha più la benché minima giustificazione per restare al potere”, chiedendone di fatto le dimissioni.
Il nuovo Parlamento, con soli 161 deputati contro i 217 del precedente, è eletto con sistema nominale a doppio turno e non potrà più destituire il presidente, controllare l’azione di governo o censurarla. Le proposte di legge presidenziali avranno la precedenza su quelle parlamentari che non possono più essere presentate da singoli deputati, ce ne vogliono almeno 10.
La situazione delle donne e delle minoranze
Secondo l’osservatorio tunisino della transizione democratica, le donne candidate sono state solo il 15% del totale, essendo venute meno “le protezioni legali per la rappresentanza femminile, necessarie per contrastare le tendenze patriarcali e conservatrici” del Paese, mi ha detto Lina Elleuch, project coordinator di Mawjoudin, un’associazione tunisina per i diritti LGBTI.
Secondo lei, un altro problema sta nella dimensione dei nuovi collegi elettorali: “essendo piccoli come quartieri, i voti non si basano più su programmi impersonali, ma su connessioni personali, dando ai gruppi che non sono convenzionalmente “benvoluti” (come le persone LGBT+, specialmente se sono out nei loro immediati dintorni) ancora meno possibilità di essere raccomandati ed eletti”.
“Tutte queste questioni formali eliminano le protezioni per le comunità emarginate, a partire dall’accesso delle donne al potere e alla rappresentanza in posizioni decisionali. Il risultato sarà un parlamento che rappresenta e sostiene i punti di vista patriarcali e tradizionalisti e non favorisce i diritti e le libertà individuali”, conclude Lina Elleuch.
Foto di copertina EPA/MOHAMED MESSARA