Come sono cambiati, negli ultimi tempi, i sentimenti degli italiani verso l’Unione europea? Dell’argomento si occupa ampiamente l’ultimo rapporto congiunto dello IAI e del Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) dell’Università di Siena che illustra i risultati di un’indagine di opinione che ha coinvolto più di 2mila cittadini italiani maggiorenni.
L’indagine, realizzata con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, evidenzia un aumento del favore per l’Ue e un giudizio complessivamente positivo sulla politica del governo Draghi in Europa. Rimangono però una serie di nodi problematici. Da come verranno affrontati dipenderà, in larga misura, anche il futuro atteggiamento degli italiani nei confronti dell’Ue.
L’impatto shock della pandemia e successivo rebound
Per ricostruire la traiettoria dei sentimenti verso l’Ue, bisogna tornare alla primavera 2020. Si era allora in piena prima ondata pandemica, l’azione dell’Ue per far fronte all’epidemia era estremamente debole e si cominciava appena a parlare di quello che poi sarebbe diventato il Recovery Plan. Un sondaggio IAI-Laps realizzato in quel periodo registrò un vero e proprio crollo di fiducia nell’Unione. Per la prima volta nella serie di indagini IAI-Laps, emerse una maggioranza relativa (48%) favorevole all’uscita dall’Ue in caso di referendum. Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che nulla mina di più il sostegno per l’Ue della passività di fronte alle emergenze.
Un sondaggio successivo, realizzato sei mesi dopo (autunno 2020), evidenziò un’inversione di tendenza: un netto recupero di fiducia nell’Ue – con il 56% di italiani questa volta favorevoli alla permanenza nell’Ue – chiaramente dovuto ai meccanismi comuni nel frattempo attivati dall’Ue per fronteggiare l’epidemia e soprattutto al varo del Next Generation EU, di cui l’Italia è principale beneficiaria.
Non si poteva però dare per scontato che quest’apertura di credito nei confronti dell’Ue fosse destinata a durare. L’ultimo sondaggio IAI-Laps 2021 mostra che il recupero si è in effetti consolidato. C’è oggi un’ampia maggioranza (57%) a favore della permanenza nell’Ue.
Anche dagli ultimi dati dell’Eurobarometro risulta che l’immagine dell’Ue in Italia è considerevolmente migliorata rispetto a un anno fa. Anzi, l’Italia è uno dei paesi in cui questo miglioramento è stato più marcato. Il che significa, in realtà, che la fiducia nell’Ue è tornata suppergiù al livello della media europea. Sempre stando all’Eurobarometro, gli italiani sono abbastanza soddisfatti per come l’Ue sta gestendo la campagna vaccinale e tra i più fiduciosi nell’utilità del Next Generation EU.
Tuttavia, c’è un dato da non sottovalutare: a un favore generale per la permanenza dell’Ue fa da contrappunto un atteggiamento molto critico, tra i più critici in Europa, su come l’Ue funziona. In sintesi: non vogliamo andarcene dall’Unione, ma vorremmo che funzionasse diversamente.
La sindrome di Calimero si attenua
Il punto è che si è radicata la percezione che l’Italia sia trattata ingiustamente da Bruxelles. È questo un elemento cruciale su cui fanno leva i vari populismi antieuropei. Da alcuni anni le indagini IAI-Laps hanno approfondito proprio questo aspetto, dedicandovi specifiche domande.
L’ultimo sondaggio mostra che sulle politiche di bilancio gli italiani si sentono ora meno discriminati di prima (dal 69% della primavera 2020 al 44% di oggi); effetto, evidentemente, del Next Generation EU e della sospensione delle regole fiscali del Patto di Stabilità e Crescita.
Il rapporto evidenzia però come la grande maggioranza degli italiani (57%) non voglia che l’Ue torni a chiedere il rispetto delle regole di bilancio (Figura 3).
Inoltre, sul tema dell’immigrazione c’è, come in passato, una percezione assai diffusa che l’Ue si disinteressi dei problemi italiani (il 53% è dell’idea che l’Italia sia trattata ingiustamente in campo migratorio). E occorre considerare che, secondo lo stesso sondaggio, il problema dell’immigrazione rimane una delle preoccupazioni centrali dei cittadini.
L’altro aspetto che non si può ignorare è che sulle politiche europee, permangono differenze sostanziali e non facilmente componibili fra gli elettorati dei vari schieramenti politici – il che rende difficile una politica europea bipartisan – ma anche all’interno di ciascuno schieramento. Anche per questo resta una pesante incognita sulle politiche europee delle future coalizioni di governo.
Il giudizio complessivo sull’operato del governo Draghi in Europa è però positivo: su una scala da zero a dieci, gli intervistati gli assegnano un voto di 6,3, mentre il governo Conte II si fermava al 4,4.
Futuri banchi di prova
Nei prossimi mesi ci attendono tuttavia sfide molto impegnative nei rapporti con l’Ue. È dal loro esito che dipenderà l’atteggiamento dei cittadini nei confronti dell’Europa. Non sono pochi i dossier su cui si potranno produrre tensioni con le istituzioni comunitarie che potranno dare il destro a campagne demagogiche.
Innanzitutto, è fondamentale che l’Ue riesca a rafforzare i meccanismi di azione comune che ha attivato per gestire la pandemia. C’è poi l’attuazione del Pnrr; su alcuni capitoli di riforma previsti dal Piano non sarà facile, come si è già visto, tenere fede agli impegni. L’Italia sarà inoltre impegnata in un difficile confronto in seno all’Ue sulle regole di bilancio e sull’eventuale riforma del Patto di Stabilità: l’attuale governo, che sembra voler seguire una linea cauta al riguardo, sta mettendo a punto una sua proposta, ma tutto indica che sarà una strada tutta in salita.
In primo piano c’è infine anche la questione immigrazione su cui lo stesso governo Draghi non è riuscito ad ottenere concessioni significative dai partner europei. Non è un caso che in questo settore il governo Draghi riceva dai cittadini un voto negativo (4,3).
Ruolo cruciale del Quirinale
Abbiamo visto nel recente passato che una gestione demagogica di questi nodi problematici dei rapporti con l’Ue può portare l’Italia sulla soglia di una rottura con i partner e le istituzioni comunitarie. Né si può trascurare che ci sono in Italia partiti e leader che hanno dichiarato esplicitamente di non riconoscere il primato del diritto europeo.
È in questo contesto che assume rilevanza, per il ruolo dell’Italia in Europa, anche la partita del Quirinale. La presidenza della Repubblica ha svolto, in questi ultimi decenni, un fondamentale ruolo di garanzia per quanto riguarda i nostri rapporti con l’Europa. Il presidente Sergio Mattarella ha più volte sottolineato che la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea ha valenza non solo politica ma costituzionale, e non ha mancato di intervenire quando l’ha ritenuta in pericolo.
Ci si preoccupa giustamente della continuità della politica europea in questo scorcio di legislatura, ma appare non meno cruciale avere al Quirinale un solido presidio che possa garantire che, nei prossimi sette anni, i nostri rapporti con l’Ue rimangano entro i binari costituzionali.
Foto di copertina EPA/RICCARDO ANTIMIANI