L’invasione russa dell’Ucraina ha suscitato una forte reazione in Giappone. Il 1° marzo la camera bassa della Dieta ha approvato, quasi all’unanimità, una risoluzione che riprende le dichiarazioni del primo ministro Kishida Fumio, il quale aveva precedentemente condannato l’iniziativa bellica di Vladimir Putin. L’esecutivo giapponese, così come i suoi legislatori e i mezzi di informazione non hanno esitato a descrivere l’invasione come un atto di aggressione. Anche l’opinione pubblica si è dimostrata solidale nei confronti dell’Ucraina, in virtù di una storica rivalità e delle dispute territoriali con la Russia per le Kurili Meridionali/Territori del Nord, senza trascurare una possibile ripercussione che il conflitto in Ucraina potrebbe avere in Asia orientale. Inoltre, il sostegno dei cittadini giapponesi è stato altresì tangibile, e si è materializzato tramite ingenti donazioni private e persino con dei volontari pronti a combattere per l’Ucraina.
Le sanzioni alla Russia
Il governo di Kishida aveva già annunciato un prestito di 100 milioni di dollari per Kiev prima dell’invasione, e altri 100 milioni in donazione sono stati aggiunti per l’assistenza umanitaria in seguito allo scoppio della guerra. Tokyo si è poi allineata alle sanzioni disposte dalle controparti del G7. Il Giappone ha infatti congelato le riserve in yen della Banca centrale della Federazione Russa, proibito l’erogazione di debito sovrano russo, annunciato “sanzioni mirate” nei confronti di oligarchi e di istituti finanziari russi e del presidente Putin, escluso una serie di banche russe dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT e annunciato un contingentamento alle proprie esportazioni di determinati beni considerati come “propedeutici al rafforzamento militare” russo, inclusi i semiconduttori. Il governo giapponese ha poi esteso il visto dei cittadini ucraini attualmente residenti nel Paese a tempo determinato (circa 120), e considerato l’ipotesi di accogliere rifugiati dall’Ucraina. In sintesi, il primo ministro ha abbandonato la sua rinomata prudenza e, con essa, la riluttanza del suo governo ad alterare una politica di ingaggio limitato con la Russia.
La dipendenza del Giappone dall’energia russa non è così apparente come quella dell’Europa, ma rimane comunque significativa soprattutto considerato l’affidamento che il Paese ha iniziato a fare sui combustibili fossili in seguito al disastro nucleare di Fukushima nel 2011. Ad oggi, solamente sette reattori nucleari sono attivi in Giappone, e sono stati recentemente approvati nuovi sussidi governativi per calmierare il prezzo della benzina in risposta all’impennata del barile. Tuttavia, nonostante l’enorme dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, che soddisfano circa il 90% del fabbisogno energetico dell’arcipelago, solo il 6.5% delle importazioni viene dalla Russia. Le importazioni di gas, di greggio e di carbone russi in Giappone invece, ammontano rispettivamente all’8.7%, al 4% e al 10.2% del totale. Ciononostante, negli ultimi anni le imprese giapponesi hanno investito capitali e tecnologie in progetti con colossi energetici russi, in nome della diversificazione di fonti di energia. Ad esempio, la decisione di Shell di disinvestire dal progetto Sakhalin-II LNG sarebbe difficilmente replicabile dalle compagnie giapponesi, vista la sua centralità nelle importazioni di gas dalla Russia e il potenziale costo che una rinuncia comporterebbe. Allo stesso tempo, sarebbe comunque una possibilità.
Antimilitarismo e realismo difensivo
Infine, l’aggressione della Russia potrebbe portare anche delle importanti ripercussioni strategiche. L’ex primo ministro giapponese Abe, esponente di rilievo del partito liberaldemocratico, insieme ad alcuni leader della fazione Ishin no Kai, ha sollevato l’ipotesi di ospitare testate nucleari americane sul suolo giapponese, presumibilmente a scopo di deterrente verso possibili atti di aggressione da parte della Cina. In risposta, Kishida ha prontamente rigettato la proposta, evocando i tre principi non nucleari secondo i quali il Giappone “non costruirà, possiederà, o ospiterà nel suo territorio armi nucleari”. Del resto tali dibattiti potrebbero avere ripercussioni negative sui piani del governo di acquisire capacità missilistica offensiva. I cittadini giapponesi potrebbero remare contro il dispiegamento di tali missili se sospettassero un’installazione di testate nucleari.
Al netto degli stereotipi orientalistici del Paese dei Samurai – stereotipi talmente radicati da far presa sull’ex presidente Donald J Trump– l’opinione pubblica giapponese è antimilitarista quanto e come la Germania del dopo-guerra. A tale anti-militarismo –che, si badi bene, non è necessariamente sinonimo di pacifismo ma semmai di realismo difensivo− si aggiunge una profonda allergia verso le armi nucleari, se non verso il nucleare civile dopo i tragici eventi di Fukushima. Del resto, la storia familiare di Kishida, e il suo elettorato di Hiroshima, si riflettono nelle sue posizioni di pacifista e di contrarietà alle armi atomiche. Per tali motivi, il Giappone avrà bisogno di una minaccia alla sicurezza più vicina a casa per intavolare un discorso sull’arma nucleare. Ad ogni modo, le misure coercitive migliori che il Giappone può dispiegare contro pericolosi precedenti quali la guerra di Putin in Ucraina è l’uso delle proprie leve finanziarie, tecnologiche ed economiche di concerto con l’Occidente. Trattasi a tutti gli effetti di una guerra economica o, preferendo un eufemismo russo, di un’operazione finanziaria speciale.