In Italia, in Europa e nel mondo il 2021 è stato l’anno della ripresa, della ricostruzione e della fiducia. Superata la fase più acuta della pandemia, si era tornati a vivere in una situazione di quasi normalità, le economie avevano ripreso a crescere, si stavano faticosamente metabolizzando nuove forme di socialità e nuove modalità di organizzazione del lavoro. Il 2022 si apre invece all’insegna della grande incertezza: il Covid-19 è ancora una minaccia, a causa delle continue mutazioni del virus, e la sua evoluzione resta imprevedibile, anche se la diffusione dei vaccini ne riduce le conseguenze. L’economia a sua volta sconta l’imprevedibilità della pandemia, l’aumento dei prezzi delle fonti energetiche e delle materie prime, le strozzature nelle catene delle forniture, una ripresa dell’inflazione e la crescita del debito pubblico e privato. Il contesto internazionale resta caratterizzato da una nuova bipolarità senza regole certe, e da numerosi conflitti e fattori di instabilità.
Il quadro politico italiano
L’Italia nel 2021 ha avuto un governo unico nel suo genere, sostenuto da un’inedita ampia maggioranza e guidato da un tecnico prestato alla politica, di grande prestigio e autorevolezza. Grazie anche all’azione di questo governo, il Paese ha ottenuto risultati importanti nel contenimento del Covid-19, e nella campagna di vaccinazioni; ha fatto registrare una importante ripresa dell’economia, con un tasso di crescita del Pil superiore alla media dei nostri partner europei; ha avviato l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza nei termini concordati con la Commissione europea; ha riguadagnato un protagonismo sulla scena europea e internazionale, che ci è stato riconosciuto dai nostri principali interlocutori e dalla stampa internazionale.
Eppure le incertezze non mancano in questo inizio del 2022. La tenuta del quadro politico potrebbe essere messa alla prova dalle imminenti elezioni del presidente della Repubblica. La coesione di questa ampia e inedita maggioranza che ha sostenuto il governo, in maniera leale e convinta (anche per assenza di alternative), potrebbe essere messa alla prova sia nell’ipotesi che Draghi si trasferisca al Quirinale, che nell’ipotesi di un altro/a presidente eletto con una maggioranza che non coincida con quella che ora sostiene il governo. C’è quindi un rischio assai concreto che l’elezione del presidente della Repubblica provochi una destabilizzazione dell’attuale quadro politico. E anche se a parole tutte (o quasi) le forze politiche si dichiarano contrarie alle elezioni anticipate, va ugualmente messa in conto l’ipotesi di una interruzione anticipata della legislatura.
La ripresa economica di “rimbalzo”
L’economia ha fatto registrare tassi di crescita superiori al 6%. Ma si tratta di un risultato che va preso con beneficio di inventario, in larga misura dovuto a un rimbalzo tecnico, che non deve far perdere di vista le numerose debolezze strutturali che caratterizzano l’economia e la struttura produttiva del Paese: competitività ancora insufficiente, carenze nei settori della formazione, della ricerca e dell’innovazione, eccessivi divari territoriali, sociali e economici, una transizione energetica ostacolata da un dibattito politico polarizzato e ideologizzato, un tessuto produttivo ancora troppo caratterizzato da aziende medio-piccole, e un debito pubblico per ora sostenibile, ma che nel medio periodo potrebbe diventare un serio limite per politiche di bilancio espansive.
La fase di attuazione del Pnrr è stata avviata e le prime riforme sono stata messe in cantiere. Ma sia per gli investimenti che per le riforme i prossimi anni saranno quelli decisivi. E infine la pandemia ha ripreso a diffondersi con esiti allo stato attuale imprevedibili. In sintesi sarebbe un errore abbassare la guardia e ritenere che il peggio sia passato. Ora più che mai il Paese ha bisogno di stabilità e di un governo competente, responsabile e credibile nella gestione interna e nella proiezione internazionale del Paese.
Il ruolo determinante dell’Unione europea
Il 2021 è stato un anno positivo anche in Europa. L’Ue ha reagito efficacemente alla crisi pandemica sia sul piano delle misure adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria – soprattutto con la gestione centralizzata degli acquisti dei vaccini – che con l’adozione di misure straordinarie necessarie per contrastare l’emergenza economica. In questo senso il Next generation Eu è stato l’ultima in ordine di tempo, e la più importante, di una serie di misure che hanno dimostrato un’inattesa capacità di reazione di Bruxelles. Un programma straordinario per il volume complessivo delle risorse mobilitate, per le modalità del suo finanziamento, per i criteri di allocazione dei fondi europei ai Paesi beneficiari, e infine per il suo collegamento con i due obiettivi strategici della transizione energetica e quella digitale.
Ora però l’Ue deve fare di più, proprio a partire da una ritrovata fiducia delle opinioni pubbliche nazionali, per dimostrare che anche altre sfide vanno affrontate e non ci si può sedere sugli allori. Si tratta di definire una governance europea dell’economia più efficace e rispondente alle sfide della congiuntura, a partire dalla imminente revisione delle regole in materia di disciplina di bilancio. Si tratta di adottare misure concrete e operative in materia di contrasto del cambiamento climatico e per la transizione energetica, che consentano di raggiungere gli obiettivi fissati dal Green deal senza distruggere il tessuto industriale europeo e imporre costi insostenibili a imprese e famiglie. Si tratta di definire una politica migratoria che sappia conciliare la protezione delle frontiere esterne comuni con le esigenze di un mercato del lavoro, che in Europa ha sempre più bisogno di migranti legali. Si tratta di recuperare un protagonismo sulla scena internazionale, che consenta all’Europa di tutelare i propri interessi più autenticamente europei. Si tratta infine di ritrovare una autentica visione condivisa sia su obiettivi di “policy” che su valori e principi, a partire da quelli della democrazia e lo stato di diritto all’interno dell’Unione. E non c’è dubbio che su queste e su numerose altre sfide c’è ancora molta strada da percorrere.
Il 2022 tra tensioni e multilateralismo
Infine, il 2021 ha visto un sistema internazionale caratterizzato sia dalla rivalità globale tra Stati Uniti e Cina che dal rilancio dei rapporti transatlantici e del multilateralismo. Se è vero che lo scontro tra Usa e Cina ha assunto le sembianze di una nuova guerra fredda in cui dietro alle divergenze in ambito militare, diplomatico, economico o tecnologico si cela uno scontro tra sistemi e ideologie politiche, è altrettanto vero che il sistema internazionale nel 2021 ha assistito a una timida ripresa del multilateralismo e dei rapporti transatlantici. I disaccordi transatlantici non sono mancati, tra cui quello sul ritiro caotico dall’Afghanistan, ma sono stati litigi che, a differenza dei traumatici anni Trump, si sono svolti all’interno dell’arco valoriale che unisce le due sponde dell’Atlantico. A livello multilaterale il bicchiere è solamente mezzo pieno, ma gli accordi raggiunti in ambito Ocse e Cop26 riguardo alla tassazione minima delle multinazionali e il clima rispettivamente, coadiuvate dal G20, rappresentano un salto quantico rispetto all’anno precedente.
L’anno che ci aspetta si prospetta profondamente incerto. La cristallizzazione di un sistema internazionale diviso tra democrazie e autocrazie vede l’acuirsi delle tensioni in Europa, con lo scontro tra Occidente e Russia soprattutto sullo scacchiere ucraino. In Asia orientale non è nell’interesse né di Washington né di Pechino uno scontro militare a Taiwan, ma l’assertività cinese e l’ambiguità statunitense fanno sì che lo scenario non possa essere escluso. L’Italia e l’Europa rivendicano la loro autonomia e rigettano l’idea di essere obbligati a scegliere un solo polo. Ma un’autonomia strategica europea in ambito tecnologico, energetico ed economico, per non parlare di quello militare, richiederà una proiezione globale decisamente più convinta e pronunciata nell’anno che ci attende.