Sono collocate a diverse latitudini, parlano lingue diverse, eppure hanno in comune un tratto che le attraversa tutte: il precipitare in un declino che appare inarrestabile.
Appaiono così le prime dieci crisi umanitarie della lista 2022 stilata da The New Humanitarian, organizzazione fondata dalle Nazioni Unite dopo il genocidio in Ruanda, divenuta vent’anni una realtà di informazione indipendente. Ogni anno questo elenco si presenta come uno strumento utile non solo per chi lavora nella cooperazione allo sviluppo e nel settore umanitario, per comprendere i trend topic e verso dove andranno i fondi, ma anche per chi ormai capito quanto ciò che accade “là”, anche a distanze continentali, investe ogni aspetto della vita, della politica e dell’economia anche “qui”.
Povertà, disuguaglianza e campagne di odio sui social
Al primo posto sta il binomio povertà-diseguaglianza aggravato dalla pandemia: il tasso di crescita delle persone che vivono in estrema povertà è passato dal 7.8 al 9.1 %. Un caso su tutti: la Nigeria. Qui prima della pandemia si calcolava che i poveri sarebbero stati 96 milioni nel 2030, ora invece si è arrivati a calcolarne 112 milioni, quasi 1 su due nigeriani. Ci sono i nuovi poveri, circa 20 milioni, che si concentrano nei paesi dove già le Nazioni Unite intervengono con aiuti. Come in Venezuela, dove ¾ della popolazione vive in estrema povertà, o in Libano: la situazione era già critica nel 2019, ma dopo la pandemia e l’esplosione del porto di Beirut la corsa del Paese sta volgendo verso lo schianto finale.
Nel descrivere questa prima crisi però The New Humanitarian rileva un dato significativo: in molti Paesi sostenuti dalle agenzie umanitarie si è registrato uno scatto della società civile che ha inventato forme di mutuo soccorso, che vanno a integrare gli aiuti esterni. Un fenomeno da non sottovalutare.
Al secondo posto si colloca l’emergenza data dalle campagne di odio sui social media: i dati incrociati dimostrano quanto il bisogno di aiuti cresca là dove gli hater imperversano, basti citare le situazioni di Etiopia e Myanmar: qui i social media sono mezzo e terreno di contrapposizione, di diffusione di false narrazioni politiche, di creazione di nemici da distruggere. Notizie false e hate speech viaggiano più in fretta della verità, creano mostri e poi atterrano in volenza praticata contro i più vulnerabili, donne e minoranze.
L’Occidente contro tutti
La terza crisi è associata a tre paesi, Haiti-Afghanistan-Myanmar, nei quali veri sismi politici si sono intrecciati a sfide umanitarie dai numeri raramente prima toccati. In aggiunta ognuna di queste crisi comporta dilemmi di fondo, che rendono più ardua la possibilità di portare soccorsi, come la riluttanza di certi donatori a trattare con i Talebani o con i militari del Myanmar, o di scendere a patti con le bande armate di Haiti. Ci vorrebbero soluzioni nuove, rileva The New Humanitarian, ma i budget dei donatori occidentali e i piani top-down seguono procedure consolidate, faticano a rinnovarsi in fretta al passo con le esigenze nuove che si presentano.
Al quarto posto sta “l’Occidente verso il resto del mondo”, ovvero le situazioni critiche che si verificano lungo i confini di “paesi occidentali che portano avanti violazioni sistematiche del diritto di asilo”. Politiche intransigenti starebbero trasformando in crisi umanitarie – secondo gli analisti del The New Humanitarian – movimenti di persone che sarebbero altrimenti gestibili. Trai confini si citano quelli tra UE e Bielorussia. E si segnala l’effetto domino tra Paesi, per cui paga il prezzo più alto il più fragile. E tre anni dopo la firma del Global Compact on Migration, il traguardo auspicato di una gestione condivisa e rispettosa dei flussi di migranti che sembrava ormai prossimo, sembra allontanarsi sempre più.
Fame, mercenari, violenze umanitarie e crisi climatica
Segue la crisi chiamata “fame”: con 283 milioni di persone a corto di cibo ha raggiunto livelli mai prima sfiorati. Mentre il costo delle materie prime aumenta, la mancanza di azioni e fondi adeguati a contrastare la fame sembra una sberla in faccia alle buone intenzioni del primo UN Food System Summit riunitosi lo scorso settembre.
Al numero 6 si trova il duo impiego di mercenari – costi umanitari: dal Sahel al Mozambico alla Repubblica Democratica del Congo i governi ingaggiano mercenari per tenere a bada le milizie armate delle opposizioni. Si generano delle spirali di tensioni, violazioni di diritti umani, conflitti interni che rendono ancora più complesso l’intervento dei gruppi che portano aiuti, che invece richiederebbe un coordinamento tra civili e militari per garantire la sicurezza.
Alla posizione numero 7, che getta però la sua ombra su tutte le altre, sta la crisi climatica, con i rischi sanitari ad essa connessi: ha i costi più alti di tutte le altre. Inaffrontabili li ritengono anche i capi delle principali agenzie, che avvisano: l’estendersi della crisi climatica è più di quanto le organizzazioni umanitarie possano permettersi. Di qui la necessità di prevenire innanzitutto. Ma la previsione richiede collaborazione e strategia, e si torna ai punti precedenti.
Crisi senza fine
Infine, negli ultimi tre posti si incontrano l’Etiopia, la cui parabola tragica ha superato ogni previsione; l’America Latina, dove la turbolenza politica ha incrociato una delle versioni più devastanti della pandemia; e lo Yemen, dove centinaia di migliaia di persone vivono sulla linea del fuoco, e sono destinate ad aumentare il numero degli sfollati (4 milioni), mentre già 21 milioni di Yemeniti secondo le Nazioni Unite hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria.
Non necessita di corollari ulteriori questa lista 2022, si commenta da sé. Sono crisi che entrano ed escono dal cono d’ombra dei media, mentre senza interruzione disegnano un tratto dopo l’altro la forma della storia. La nostra storia comune.
Foto di copertina EPA/SEDAT SUNA