Non si allenta la tensione russa ai confini orientali dell’Ucraina e gli esperti sono divisi sui seguiti della minaccia, se si tratti cioè di uno stratagemma per ottenere concessioni in una futura negoziazione o se siamo ormai giunti alla soglia di una vera e propria invasione. Tra gli elementi da tenere presente per far fronte ad un eventuale conflitto occorre valutare la questione anche secondo i parametri dettati dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite, di solito trascurati. Secondo tale ottica i capisaldi della questione sono i seguenti.
Le istanze secessioniste del Donbass
Due province hanno proclamato la propria indipendenza (Donetsk People’s Republic e Luhansk People’ Republic). Tuttavia esse mancano di effettività e sopravvivono grazie al sostegno politico/militare russo. Il governo ucraino è legittimato a impedire la secessione e può fare affidamento sul sostegno militare dell’occidente mediante la fornitura di armi. Si tratta di una questione di protezione delle minoranze e non di autodeterminazione di un popolo.
Gli strumenti da tenere presente, per risolvere la questione, sono le disposizioni pertinenti dell’Osce e la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sulla protezione delle minoranze nazionali, ratificata sia dalla Russia che dall’Ucraina. Pertinente è anche la Convenzione, sempre del Consiglio d’Europa, sulla cooperazione transfrontaliera, utile per dare spazio e autonomia alle autorità locali dei due stati confinanti. Il negoziato intrapreso nel gruppo di Minsk (Minsk 1 e Minsk 2) non ha condotto a risultati rilevanti. Ma ciò non giustifica un eventuale ricorso alla forza da parte russa.
La situazione in Crimea
Quali azioni sarebbero lecite, secondo la Carta delle Nazioni Unite, per far fronte a un’invasione russa dell’Ucraina? Si può agire in legittima difesa. Non solo l’Ucraina, ma gli Stati occidentali, su richiesta ucraina, potrebbero reagire in legittima difesa collettiva (“morire per Kiev”). Non è necessario al riguardo che l’Ucraina sia membro di un patto di legittima difesa collettiva, quale la Nato. Contromisure più realistiche, già minacciate, possono consistere nell’inasprimento di misure restrittive (sanzioni) contro la Russia. Egualmente ammissibile è un’assistenza militare, che non configuri un’azione armata.
Nel dibattito in corso non è più preminente la questione della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, con un espediente giuridico che a parere degli occidentali maschera un’aggressione. La violazione non è sanabile per decorso del tempo, ma solo con la retrocessione della Crimea all’Ucraina o comunque con una sistemazione implicante il consenso di quest’ultima. Gli occidentali continuano a disconoscere la sovranità russa sulla regione. Si aggiunga la controversia sullo stretto di Kerch che mette in comunicazione il Mare Nero con il Mare di Azov, qualificato come baia storica, soggetto alla completa sovranità dello stato costiero. La liceità dell’azione russa nei confronti delle navi militari ucraine (2018), che intendevano raggiungere il loro porto, è all’esame del Tribunale arbitrale costituito pressa la Corte Permanente di Arbitrato, ma difficilmente il Tribunale si pronuncerà sulla questione della sovranità sulla Crimea.
Ucraina e Nato: il veto russo
L’oggetto immediato del contendere è costituito dall’ingresso dell’Ucraina nella Nato, fermamente contrastato da parte russa, che non vuole avere missili e armi nucleari dell’Alleanza vicini ai propri confini. Gli Stati sono liberi di scegliere le proprie alleanze, tranne che sia proibito da un trattato. Con metodo inusuale la Russia ha proposto due accordi in materia: uno diretto alla NATO e l’altro agli Stati Uniti. Il primo progetto di accordo è esplicito: l’art. 6 proibisce alla NATO di effettuare ulteriori allargamenti e l’Ucraina è espressamente esclusa da un’espansione della Nato. Nel secondo progetto l’Ucraina non è espressamente menzionata, ma il risultato è eguale. Secondo l’art. 4, gli Stati Uniti si impegnano a non consentire un’ulteriore espansione della NATO ad Est e rifiutando ladomanda d’ingresso di Stati che erano membri del blocco sovietico.
Nel dibattito in corso non è stata sollevata la figura della neutralità permanente, da distinguere dal non allineamento, cui era ispirata, in forma sui generis, la politica estera ucraina. La neutralità permanente in tempo di pace comporta obblighi ben determinati da parte del neutrale, tra cui quello di non avere basi militari sul proprio territorio e di non far parte di alleanze militari. La neutralità permanente può essere militarmente garantita, come dimostra il caso Italia-Malta, e non è incompatibile con lo status di membro dell’Unione Europea, poiché il trattato di Lisbona esenta i membri neutrali dall’intervento a favore dello stato aggredito.
Spetta alla politica e alla diplomazia individuare la soluzione adatta per risolvere la crisi ucraina e individuare i compromessi necessari, senza esacerbare la crisi. Una reale volontà di soluzione implica che le parti siano disposte ai compromessi necessari. Oltre agli incontri a livello bilaterale/multilaterale, i fori negoziali non mancano, a cominciare dall’Osce che meriterebbe un’adeguata rivalutazione. Senza trascurare altre organizzazioni, come il Consiglio d’Europa, la cui importanza va apprezzata tenendo presenti i trattati conclusi nel suo ambito e, in primo luogo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e gli organismi di tutela. Peraltro un compromesso negoziale non può andare a scapito delle regole del diritto. In proposito, il maggior ostacolo è costituito dalla piena restaurazione della sovranità ucraina. È lecito dubitare che questa possa estendersi alla restituzione della Crimea, la cui annessione viene ormai considerata un fatto compiuto, nonostante la politica di non riconoscimento. L’esperienza dimostra che tali politiche non durano all’infinito e spesso rimangono un fatto verbale senza conseguenze concrete.
Foto di copertina EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY PRESS SERVICE