Come il mercantile SS Nan-Shan nel Tifone di Joseph Conrad, l’Ucraina sta navigando nell’occhio del ciclone: una breve quiete prima di essere di nuovo in balia dell’uragano. Per tre settimane circa la crisi russo-ucraina è ferma. Non c’è una scadenza. Americani e russi torneranno a parlarsi. Senza fretta, entro una quindicina di giorni, ha detto il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Le esercitazioni congiunte russo-bielorusse sono fissate dal 10 al 20 febbraio. Le Olimpiadi invernali in Cina finiscono lo stesso giorno. È cocktail di successi sportivi, sfoggio di potenza militare e statura geopolitica mondiale che garantisce spettacolo per il “prime time” televisivo russo. Guai guastarlo.
La sintesi diplomatica di Mosca
Il Presidente russo mena ancora la danza. Apre alla diplomazia mentre accresce il peso dell’ipoteca militare. Mantiene aperte tre alternative per fine febbraio: negoziare; invadere; destabilizzare. La terza consiste nel tenere le bocce ferme – Ucraina accerchiata e inflessibilità nelle richieste a Usa e Nato – puntando su due vulnerabilità, di Kiev e della tenuta occidentale. Per colpire l’una dell’arsenale di destabilizzazione dall’interno, dalla disinformazione informatica alle quinte colonne. Per mettere a nudo la seconda, eterna sirena della politica estera di Mosca, la Russia deve riuscire a incunearsi fra americani ed europei. Sarebbe un capolavoro politico-diplomatico, giocato sulle faglie già esistenti fra europei: divorzio fra Regno Unito e Ue; divergenze sulla sicurezza fra partner est-europei e baltici, da una parte, e il resto dell’Europa comunitaria.
L’Occidente e l’Ucraina sanno che entro fine febbraio il nodo ucraino verrà al pettine e sarà Putin a scioglierlo, o a tranciarlo stile Alessandro Magno, parallelo che non dispiacerebbe al Cremlino. Hanno tre settimane di tempo per prepararsi al peggio – invasione e/o destabilizzazione strisciante – ma, soprattutto, per spingere il Presidente russo verso il negoziato. Cercar di convincerlo sarebbe fiato sprecato. Bisogna giocare sull’equazione costi-benefici. Più pende dalla parte del negoziato, maggiori le probabilità che Vladimir Putin lo scelga. È essenziale che non pensi di poter aggirare i costi, facendo leva sulle due potenziali vulnerabilità: dell’Ucraina e dell’Occidente.
Il sangue freddo di Kiev
L’Ucraina tiene. Lo spettro di una guerra si aggira per l’Europa, ma una strana calma si aggira per le vie di Kiev. La gente normale vive normalmente. Pur preparandosi alla difesa militare, Presidente e governo lo raccomandano. Quest’ammirevole freddezza contrasta con l’allarmismo di Washington e di Bruxelles, con le contorsioni politiche di Parigi e l’amletico “Nord Stream 2 o non Nord Stream 2” di Berlino, con la fiumana russa di carri armati, artiglierie, navi, cacciabombardieri in parata lungo le frontiere terrestri e marittime. Intervistati, fra fatalismo slavo e sindrome dell’orchestra del Titanic, che suonava mentre si inabissava, i cittadini di Kharkov o Odessa rispondono con un “ci siamo abituati”.
Una lunga crisi irrisolta
La crisi con la Russia è vecchia di quasi dieci anni. Nasce dall’opposizione russa all’accordo di associazione Ue-Ucraina, non dalla candidatura di Kiev alla Nato. Nel 2013 Mosca torse il braccio a Viktor Yanukovich, filorusso pronto a dare un calcio alla botte russa e uno al cerchio europeo, costringendolo a rinunciare al negoziato con l’Ue, Maidan si rivoltò e lo fece cadere. La Russia annesse la Crimea e fomentò la ribellione del Donbass, ad oggi circa 13mila vittime, un aereo di linea abbattuto “per errore”. Da allora, pur frammentazioni politiche, istituzioni fragili e oligarchi corrotti, l’Ucraina ha rafforzato l’identità nazionale e scelto di allontanarsi dalla Russia e avvicinarsi all’Europa. Il filone di simpatie russe si è inaridito. Ma chi è causa del suo mal…
L’Ucraina non dà segno di arrendersi alle pressioni russe. Vorrebbe negoziare bilateralmente ma Mosca rifiuta. Sono posizioni ragionevoli. L’Occidente le può sostenere senza dividersi. L’appoggio politico ed economico è essenziale. L’Ue ha un ruolo critico. L’assistenza militare rimarrà invece facoltativa. Aiutare chi si vuol solo difendere non ha comunque nulla di provocatorio. Il fronte Usa-Nato-Ue può invece incrinarsi su due versanti. Quello politico del dialogo con Mosca; quello delle sanzioni. Il primo è spinto dal desiderio francese di politica estera europea autonoma; il secondo dall’ondeggiare governativo tedesche e da ambiguità imprenditoriali italiane. I tre principali Paesi dell’Ue offrono pertanto il fianco al cuneo russo.
In attesa di acque più calme
È prematuro aprire nuovi canali di dialogo con Mosca fino quando la crisi russo-ucraina non sia uscita del bivio fra guerra e pace. Poi ci sarà spazio anche per Emmanuel Macron, a cominciare dalla ripresa del formato Normandia (Russia, Ucraina, Germania, Francia). Le sanzioni sono un deterrente. Lo scopo è di non usarle. A tal fine Putin le deve temere. Tentennare è fuorviante. Può illudere il Presidente russo di farla franca. E quindi indurlo a forzare la mano. Se la Russia invade, le sanzioni ci saranno, come avvenne nel 2014. Chi, tedesco e italiano, non vuole le sanzioni dovrebbe essere in prima linea nell’evocarle.
Stiamo attraversando la crisi più grave della sicurezza europea degli ultimi quarant’anni. Se ne può uscire con la prospettiva di rafforzarla al tavolo negoziale. La Russia lo chiedeva. Gli americani lo accettano. Emmanuel Macron vi rivendica un ruolo europeo. La rotta passa attraverso la tenuta dell’Ucraina e la deterrenza della Russia. Nel Tifone di Conrad il capitano John McWhirr porta la nave in salvo. Con la stessa fermezza sulla barra si può uscire indenni dal ciclone russo.
Foto di copertina EPA/PAVEL BEDNYAKOV / KREMLIN POOL / SPUTNIK