Come ogni anno, l’inizio del mese di luglio segna la conclusione delle attività annuali della Corte Suprema statunitense e la pubblicazione dei suoi ‘verdetti’, cioè le opinioni espresse dalla maggioranza dei nove giudici che la compongono. La composizione attuale della Corte, seppur nominalmente apolitica, vede una predominanza di giudici dall’orientamento giuridico conservatore, tre dei quali nominati dall’amministrazione Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett.
La Corte si è espressa in particolare su quattro importanti decisioni.
La fine dell’Affirmative action
Con il termine Affirmative action si intende la politica d’inclusione su base etnico-razziale adottata da diverse importanti università americane, che nel loro processo d’ammissione conferiscono ‘punti extra’ agli studenti appartenenti a gruppi etnici ritenuti socialmente svantaggiati, quali afroamericani e ispanici. La reputazione dell’AA è sempre stata molto controversa: i suoi critici la considerano una forma di discriminazione che colpisce negativamente gli studenti bianchi o di origine asiatica, ritenuti sovra rappresentati; i suoi proponenti la considerano invece una misura essenziale per garantire la diversità nel corpo studentesco e offrire opportunità a studenti talentuosi che hanno tuttavia subito limitazioni e affrontato ostacoli a causa della loro condizione di minoranza etnica.
Il Presidente della Corte John Roberts e i cinque giudici conservatori hanno stabilito l’incostituzionalità della pratica, che costituirebbe una violazione della equal protection clause, che proibisce la discriminazione razziale da parte di entità governative. Roberts ha tuttavia ‘moderato’ il giudizio finale, ribadendo che le università possono comunque tenere conto delle esperienze individuali di un candidato in sede di selezione, se determinate anche dalla sua provenienza etnica.
Imprenditoria e diritti LGBTQI+
Roberts ed i cinque giudici conservatori hanno stabilito che una legge antidiscriminazione dello stato del Colorado che avrebbe forzato un web-designer di fede cristiana a creare siti matrimoniali anche per un ipotetico cliente gay è incostituzionale, in quanto confliggente con il primo Emendamento, che tutela la libertà d’espressione. Nell’opinione della maggioranza, scritta dal giudice Neil Gorsuch, prevale l’idea che leggi come quelle del Colorado costituiscano un precedente pericoloso, aprendo alla possibilità di forzare professionisti di ogni professione religiosa e ideologica a provvedere servizi per clienti dalle idee opposte.
Nella ‘dissident opinion’ scritta dalle tre Giudici liberal della Corte, la Giudice Sotomayor sostiene che la Costituzione non dà nessun diritto a rifiutare l’elargizione di un servizio a un esponente di un gruppo discriminato e che la legge antidiscriminazione del Colorado non contrasta con il diritto alla libertà di espressione, limitandosi soltanto a prevenire un comportamento discriminatorio dei commercianti nell’esercizio d’impresa.
La cancellazione del debito universitario
In una sconfitta per l’amministrazione Biden, Roberts ed i cinque giudici conservatori hanno stabilito che il piano del governo federale per cancellare il debito di circa 43 milioni di cittadini americani è incostituzionale, in quanto derivante da un uso improprio dei poteri conferiti al Department of Education dalla legislazione federale: il dipartimento, secondo la Corte Suprema, può modificare i termini dei suoi piani di loan forgiveness, ma non alterarli completamente senza l’appoggio di una riforma approvata dal Congresso.
Biden ha criticato fortemente la decisione della Corte ed ha annunciato un nuovo piano di cancellamento del debito passando sempre per il Department of Education, seppur con una platea di possibili beneficiari molto più ristretta.
North Carolina e il ‘redistricting’
Non mancano però anche vittorie inaspettate per il lato liberal della Corte, come nel caso della disputa tra la legislatura statale della North Carolina, controllata dai Repubblicani, e la Corte Suprema del medesimo stato, che aveva decretato incostituzionali i piani di ridefinizione dei collegi elettorali varati dall’organo legislativo in questione, citando la mancata rappresentanza elettorale di diverse zone dello stato abitate in maggioranza da persone di etnia afroamericana.
Con un’opinione di maggioranza scritta da Roberts, dalla conservatrice Amy Coney Barret e dalle tre giudici liberal, la Corte Suprema ha decretato che le legislature statali non sono gli unici organi adibiti a redigere e approvare le mappe elettorali, legittimando le azioni della Corte Suprema locale.
Una brutta notizia per i Repubblicani, che speravano di esautorare gli organi giudiziari locali per implementare in modo indisturbato i loro controversi piani di redistricting anche nel resto del Paese, e una buona per il Partito Democratico, che potrà fare leva su questo precedente per contestare altri episodi di gerrymandering.
Questo articolo, a cura di Antonio Junior Luchini, è stato realizzato da in collaborazione con la redazione di Jefferson – Lettere sull’America, una newsletter a cura di Matteo Muzio
Foto di copertina EPA/SHAWN THEW