Ero a Seul, ospite del ministero degli Esteri coreano per una serie di incontri, nei giorni in cui la Corea del Nord ha effettuato un nuovo test missilistico, l’ultimo in ordine di tempo di una lunga serie di test condotti quest’anno con missili prevalentemente a medio e corto raggio.
Questa volta Pyongyang ha invece testato un missile balistico intercontinentale (ICBM), verosimilmente un Hwasong-17, che è arrivato al largo delle coste settentrionali del Giappone, ma che, secondo gli esperti del settore, avrebbe potuto raggiungere gli Usa, ed essere dotato di una o più testate nucleari
Nessun panico da parte della popolazione, che ha proseguito le attività quotidiane nella massima serenità. Ma una prevedibile reazione di ferma condanna da parte delle autorità di Seul, che solo quest’anno hanno dovuto registrare un aumento esponenziale dell’aggressività della Corea del Nord, con circa settanta di lanci di missili, e che temono come molto verosimile nei prossimi mesi un nuovo test nucleare nord-coreano, il settimo per la precisione.
Pyongyang minaccia la sicurezza nazionale di Seul
Nei miei colloqui a Seul (sia presso istituzioni governative che presso vari think tanks) ho avuto la conferma che la Corea del Nord, oggi più che mai, resta la più seria minaccia per la sicurezza nazionale. E ho ugualmente potuto costatare che l’obiettivo della riunificazione fra le due Coree – che pure resta iscritto nella Costituzione – appare oggi remoto ed irrealistico. Nelle circostanze attuali, anche la normalizzazione dei rapporti fra Seul e Pyongyang, in un quadro di progressiva riconciliazione, che pure era stata tentata nel passato da vari presidenti coreani con alterne fortune, appare un obiettivo poco realistico, perlomeno nel breve-medio periodo. Non è quindi un caso che, allo stato attuale, Seul consideri la denuclearizzazione della Corea del Nord come l’obiettivo su cui concentrarsi e da cui partire come primo essenziale passaggio.
Questo quadro dei rapporti intra-coreani appare corroborato, nelle valutazioni dei miei vari interlocutori, dalla costatazione che, nella presente congiuntura internazionale, Pyongyang ha recuperato una centralità, e paradossalmente una capacità di manovra, che sembrava avere perso da tempo.
L’aggressione russa all’Ucraina ha rafforzato la posizione della Corea del Nord, che può ora contare su un incondizionato sostegno della Russia, non solo per essere uno dei rarissimi Paesi al mondo che si è dissociato dalla condanna di questa aggressione, ma anche per avere fornito armi e munizioni ad una Russia che sta sperimentando seri problemi di disponibilità di armi e sistemi di arma.
Seul e la guerra in Ucraina
Su un piano più generale, la Corea ha deciso di schierarsi sulle posizioni dei suoi alleati americani, europei, e del resto dell’occidente sulla guerra in Ucraina. Seul ha condannato l’aggressione russa e sta discretamente fornendo armi a Paesi (Usa e Polonia) che a loro volta forniscono armi all’Ucraina. Ma a Seul si nega che ci siano state forniture di armi direttamente all’Ucraina. Ha anche adottato alcune delle sanzioni occidentali contro la Russia, ma il tema della guerra in Ucraina non suscita eccessivo dibattito né particolare coinvolgimento, neppure fra gli “addetti ai lavori”. Si tratta tutto compreso di un conflitto remoto, troppo distante dalle sensibilità coreane, per suscitare emozioni forti, anche se, nella percezione dei più attenti, è pur sempre un conflitto destinato a complicare gli obiettivi di stabilizzazione della penisola perseguiti da Seul.
La perdurante competizione globale fra Cina e Usa consente alla Corea del Nord, anche perché paese dotato di armi nucleari, di figurare come una dei tanti terreni di gioco su cui si gioca questa competizione. La Cina, che pure ha un rapporto complesso con Kim Jong-un, ha tutto l’interesse ad utilizzare la Corea del Nord, e il suo potenziale nucleare, come strumento di pressione sugli Usa. E la Corea del Nord ha interesse a consolidare il suo status di potenza nucleare, e a posizionarsi come una minaccia alla sicurezza dei due maggiori alleati degli USA nella regione (il Giappone e la Corea del Sud), con l’obiettivo di proporsi alla Cina come un alleato prezioso (ancorché imprevedibile) nella competizione con gli USA.
Verso nuovi rapporti con Pechino?
L’altro grande tema di preoccupazione per la Corea è quello dei rapporti con la Cina. Anche a Seul infatti ci si sta rendendo conto che la Cina non è più soltanto una straordinaria opportunità per l’economia coreana. E che la Cina, per troppi aspetti, sta diventando una minaccia per la stabilità della regione e la sicurezza del Paese. Cionostante la posizione pubblica ufficiale delle autorità coreane sull’argomento resta estremamente prudente e riservata. Troppo importante è infatti per la Corea il rapporto di interdipendenza fra le due economie, che si sostanzia in intense relazioni commerciali, fitte catene del valore, investimenti nei due sensi, cooperazione economica, tecnologica e scientifica.
Per questi motivi ho colto l’impressione che nel governo coreano si stia riflettendo a come avviare una non semplice ridefinizione dei rapporti con Pechino: con la ricerca di un difficile equilibrio tra fermezza sui principi, ricerca di garanzie di sicurezza e collaborazione laddove possibile ed utile. Una riflessione che tra l’altro, e per certi aspetti, non è molto dissimile da quella su cui si sta esercitando, sia pure in condizioni diverse, anche l’Unione Europea.
Il nuovo soft power coreano
Ciò premesso la Repubblica di Corea resta un Paese che ha realizzato successi straordinari nel campo dell’economia, della competitività, delle tecnologie di punta, della modernizzazione dei sistemi produttivi e della società. Un Paese fiero dei suoi successi, giustamente orgoglioso di essere diventato a tutti gli effetti la terza “tigre asiatica” e la decima economia mondiale. Un Paese che è riuscito a combinare gli “animal spirits” del migliore capitalismo all’occidentale con il senso della disciplina e di appartenenza di gruppo propri della cultura confuciana, nella quale il singolo è soprattutto al servizio del collettivo o della società. Un successo che si manifesta anche nella spettacolare diffusione dei prodotti culturali coreani (dal cinema, alle serie televisive, alla musica pop, alla moda giovanile ecc.), a conferma di un soft power coreano, che è espressione della creatività del Paese, e moltiplicatore in positivo dell’immagine della Corea nel mondo.
E forse non è estranea a questa complessiva performance anche la circostanza che la Corea abbia fatto registrare ottimi risultati nel contrasto del COVID. Nessun lockdown, solo blande ma efficaci misure di contenimento dei contagi. Come conseguenza l’economia coreana ha subito solo un leggero rallentamento nel 2020.
Ma già nel 2021 il Pil coreano era cresciuto del 4%, e per il 2022 si stima una crescita del 2,4% Le finanze pubbliche godono di buona salute, e il debito pubblico è ampiamente sotto controllo. La Corea ha piuttosto un problema di eccessivo indebitamento di famiglie e imprese, corre il rischio di una bolla immobiliare, e soprattutto in prospettiva dovrà fare i conti una seria crisi demografica, essendo la Corea uno dei paesi nel mondo con la più bassa natalità.
Foto di copertina EPA/KCNA