La posta in gioco al Consiglio europeo informale di Granada del 6 ottobre era definire orientamenti e priorità dell’Unione Europea del futuro, che potrebbe arrivare a includere più di 30 stati membri.
La riunione di Granada, convocata per affrontare l’agenda strategica e i problemi sollevati dall’allargamento, è stata condizionata dall’atteggiamento di Polonia e Ungheria, contrarie al regolamento sulle situazioni di crisi del Patto migrazione e asilo approvato pochi giorni prima a maggioranza qualificata, e si è conclusa con l’adozione di una dichiarazione sull’agenda strategica dei 27 da cui è stato stralciato il paragrafo dedicato all’immigrazione, inserito in una dichiarazione separata del presidente Charles Michel.
Consiglio di Granada: risultati inferiori alle attese
A Granada il Consiglio europeo ha approvato una dichiarazione piuttosto generica sull’impegno a rafforzare la difesa, la competitività e la resilienza dell’economia, l’autonomia energetica dell’Ue.
Quanto all’allargamento, viene definito “un investimento geostrategico per la pace, la sicurezza, la stabilità, e la prosperità, ma si ribadisce anche che resta un processo basato sul merito, sui progressi realizzati dai paesi candidati soprattutto nel campo dello stato di diritto. Senza dare ancora una prospettiva concreta all’apertura entro fine anno di negoziati di adesione con l’Ucraina e, eventualmente, con la Moldavia. In attesa della relazione annuale sui progressi fatti dai singoli paesi che la Commissione europea presenterà all’inizio di novembre.
In occasione della riunione dei 47 paesi della Comunità politica europea, tenutasi il giorno prima del Consiglio europeo sempre a Granada, alcuni paesi candidati hanno chiesto uno sforzo per definire un nuovo approccio all’allargamento, in modo che non sia un processo senza fine.
In sostanza, sia dalla riunione della Comunità politica europea che dal Consiglio europeo informale dell’Ue sono venuti risultati inferiori alle attese. Non si intravede ancora una nuova architettura di sicurezza per affrontare le sfide comuni del continente e le crisi ai suoi confini. Con l’aggiunta di qualche puntura di spillo nei rapporti tra i partner, come la riunione a sei convocata su iniziativa di Regno unito e Italia per discutere come affrontare l’immigrazione illegale.
Il futuro dell’Europa: l’integrazione progressiva
Sui temi strategici per il futuro dell’Europa, e su come procedere verso l’allargamento in particolare, sono state presentate negli ultimi tempi diverse proposte, sia da parte di alcuni stati membri che da gruppi informali.
La presidenza di turno spagnola del Consiglio ha proposto come base per la discussione il documento Resilient EU2030, che individua le vulnerabilità strategiche che l’Ue dovrebbe affrontare in quattro settori critici: energia, tecnologia digitale, salute, alimentazione. Il documento è frutto di un lavoro collettivo durato quasi un anno che ha coinvolto esperti e ministeri dei 27 stati membri, la Commissione europea, il Consiglio, accademici e rappresentanti del settore privato.
L’Austria, dopo aver presentato nel maggio 2022 una proposta per l’integrazione progressiva, il 27 settembre ha indicato una lista di settori in cui i paesi candidati potrebbero collaborare con l’Ue prima dell’adesione a pieno titolo: alcuni aspetti del mercato unico, l’energia, le infrastrutture dei trasporti, una maggior cooperazione con Frontex e Europol.
L’idea di un’integrazione progressiva non è del tutto nuova, la stessa Commissione europea l’aveva suggerita nel 2019 come metodologia per l’allargamento. L’obiettivo è quello di integrare i paesi candidati dove possibile, senza aspettare la piena esecuzione dell’acquis comunitario.
Riforme istituzionali e allargamento
La proposta più articolata, e più ambiziosa, per adeguare l’Ue alla sfida dell’allargamento è però venuta dal rapporto redatto da un Gruppo costituito su iniziativa di Francia e Germania, composto da dodici esperti indipendenti e presentato il 19 settembre al Consiglio Affari generali a Bruxelles.
Il rapporto, che non rappresenta la posizione ufficiale di Parigi e Berlino, intitolato Navigare in acque profonde: riformare e allargare l’Ue per il XXI secolo riconosce che l’Ue non è pronta a accogliere nuovi membri “né a livello istituzionale né a livello politico”, e raccomanda un processo flessibile di riforma e allargamento.
Riforme sostanziali da adottare durante il ciclo istituzionale 2024-2029 dovrebbero comunque includere la riduzione del numero dei commissari, meno membri del Parlamento europeo, un bilancio più ampio con nuove risorse proprie, maggior ricorso al voto a maggioranza qualificata, anche in politica estera, dando ai piccoli paesi membri più peso come voto per compensare la possibilità di mettere il veto a una decisione.
La proposta più significativa riguarda una nuova configurazione dell’Unione organizzata su quattro livelli distinti, riprendendo il tema dell’integrazione differenziata. Si avrebbe così una suddivisione in cerchi concentrici: un cerchio interno di membri Shengen, dell’eurozona e possibili coalizioni di volenterosi, l’Ue con membri vecchi e nuovi, i membri associati al mercato unico, e la Comunità politica europea 2.0 basata sulla convergenza geopolitica e strutturata su accordi bilaterali con l’Ue.
Un ulteriore contributo al dibattito europeo è venuto dal Manifesto per l’Europa ai tempi della nuova guerra fredda, firmato da 32 personalità politiche, funzionari e economisti dell’Ue, che propone un federalismo graduale e pragmatico, indicando 7 punti concreti per il rilancio dell’Europa.
Nuove prospettive per l’Unione
Nodi difficili da sciogliere per un’Unione che ha dimostrato negli ultimi tempi troppe posizioni divergenti tra i suoi attuali membri, e fatica a trovare soluzioni condivise alla molteplicità di sfide di varia natura che deve affrontare. L’invasione russa dell’Ucraina è una ragione per serrare le fila, ma i nuovi paesi da inserire all’interno del club delle democrazie europee portano con sé anche molti problemi, politici, economici e di adattamento delle istituzioni e delle politiche dell’Ue.
L’allargamento avrà un impatto su tre diversi livelli: quello istituzionale, per la necessaria riforma del processo decisionale; sulle principali politiche europee, come la politica agricola comune o la politica di coesione; a livello di bilancio, per le significative implicazioni finanziarie che dovrebbero portare a aumentare il bilancio oltre l’1% del Pil europeo, se si vogliono avere mezzi all’altezza delle ambizioni. La riflessione sulle modalità con cui procedere, se tutti allo stesso ritmo o per gruppi, vede in ogni caso prevalere sia da parte dei leader europei che della presidente della Commissione, la volontà di muoversi all’interno della cornice del trattato di Lisbona. Senza aspettare di raggiungere un consenso piuttosto problematico su riforme dei trattati.
D’altro canto, continuare a schivare riforme di cui si discute da tempo potrebbe tradursi in una crisi politica profonda del progetto di integrazione europea.
La posta in gioco è la credibilità dell’Ue come attore politico e la capacità dei leader europei di delineare un percorso riformatore all’altezza delle sfide comuni. Pena il rischio per l’Europa di essere sempre più irrilevante, con un peso geopolitico marginale negli scenari globali.
Foto di copertina EPA/PEPE TORRES