Il 24 gennaio, il Movimento Patriottico per la Salvaguardia e la Restaurazione (Mouvement patriotique pour la sauvegarde et la restauration (MPSR)) guidato dal tenente-colonello Paul-Henri Sandaogo Damiba, ha preso il potere in Burkina Faso arrestando il Presidente in carica, eletto nel 2015 e riconfermato nelle ultime elezioni, Roch Marc Christian Kaboré.
Il golpe e l’infiltrazione jihadista in Burkina Faso
Dal 16 dicembre scorso a capo della terza regione militare, la più grande del paese che comprende, oltre a Ouagadougou anche le zone di Tenkodogo, de Fada e Pô, Damiba. Questo colpo di stato era in qualche modo nell’aria, visto che giusto due settimane prima la gendarmeria burkinabè aveva arrestato il colonnello Mohamed Emmanuel Zoungrana.
I golpisti lamentano la scarsa efficacia dell’azione governativa contro le forze jihadiste che operano nel paese dal 2015, e che hanno i militari come bersaglio privilegiato. Da questo punto di vista, il Burkina Faso è diventato una storia esemplare di come dinamiche globali e specifici trend regionali abbiano interagito con fattori etno-socio-economici di problematicità di lungo periodo tipicamente locali, creando un mix esplosivo e di difficile gestione.
Le radici jihadiste nel Sahel
Il deterioramento della situazione di sicurezza in Burkina è diretta conseguenza delle dinamiche che hanno portato al rafforzamento dei gruppi qaedisti in Mali negli ultimi dieci anni. La presenza dei gruppi legati ad Al-Qaeda nel Sahel è l’ultima declinazione del terrorismo algerino nato e prosperato negli anni ’90.
Il processo di Sahelizzazione dei gruppi algerini inizia all’inizio degli anni ‘2000. Con l’ingresso formale del gruppo nella galassia qaeidsta nel gennaio 2007 e la nascita di al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM), e un temporaneo revival operativo nell’Algeria settentrionale favorito dall’importazione di tattiche dal teatro iracheno della durata di circa due anni, dal 2009 in poi il gruppo si è spostato in maniera sempre più definitiva verso, e oltre, il confine algerino nel sud.
Le cosiddette primavere arabe, in particolar modo la rivoluzione e la guerra civile in Libia, hanno poi ulteriormente favorito questi gruppi, prima tramite un’alleanza con le forze tuareg che lanciarono un’offensiva contro il governo di Bamako nel 2012 e con la nascita di gruppi jihadisti specificatamente locali, come Ansar Dine, guidato dal tuareg Iyad Ag Ghali. I gruppi jihadisti legati ad AQIM divennero poi la forza dominante nel Mali settentrionale, e cercarono di spingersi ulteriore verso sud prima di essere fermati dall’azione militare francese – Operazione Serval – lanciata nel 2013.
Dal Mali al Burkina Faso
AQIM in Mali ha messo radici, riuscendo ad adattare il proprio messaggio e strategia alle necessità della popolazione e ribaltando così la percezione di gruppo in declino, in particolar modo, tramite l’idea del Jihad rurale promossa da Djamal Okacha, colui che sostituì Abou Zeid come leader di AQIM nel Sahel dopo la sua morte nel 2013. Tale approccio forniva risposte e prospettive a specifici gruppi locali, come quelli fulani, storicamente in conflitto con lo stato centrale maliano dominato dai bambara.
In queste dinamiche si trova così l’origine dei problemi attuali in Burkina Faso. Gli attacchi di forze jihadiste sono iniziati nel 2015, ma è nel gennaio del 2016, con il doppio attacco perpetrato da militanti riconducibili ad AQIM allo Splendid Hotel e al ristorante Cappuccino di Ouagadougou in cui furono uccise 30 persone che il Burkina Faso ha visto iniziare una nuova fase. Queste però erano ancora forze in qualche modo estranee al contesto locale.
Lo Stato islamico del Grande Sahara
Sotto la guida di Malam Ibrahim (Boureima) Dicko, vi è stata la nascita e crescita di un gruppo autoctono chiamato Ansarul al-Islam, che ha convogliato il malessere dei fulani contro i mossi, l’etnica dominante, in Burkina. Dicko era un comandante fulani legato da prima ad Ansar al-Din, arrestato dalle forze francesi in Mali nel 2013 e poi rilasciato un paio di anni dopo. In quegli anni ha conosciuto Amadou Koufa, il creatore di un gruppo jihadista fulani, Kabiat Macina, operativo nel Mali centrale.
Il primo attacco ufficiale del gruppo fu alla base militare di Nassoumbou nel dicembre 2016. In questi anni il gruppo ha operato principalmente nella zona nord e orientale del paese, e ai confini con il Mali e il Niger. Malam Dicko è morto nel 2017, ed è sostituito dal fratello, Jafar Dicko. In questi anni anche altri gruppi jihadisti sono apparsi in Burkina, come lo Stato Islamico del Grande Sahara, creato dall’ex numero due di Belmokhtar, Adnan Abu Walid al-Sahrawi ucciso in Mali dai francesi nel 2021, o il gruppo nigeriano Boko Haram.
Il rischio contagio
Il Burkina Faso è un esempio calzante dell’adattabilità di un certo messaggio radicale capace di far leva su rivendicazioni locali che spesso sono di natura storica, etnica, economica ed ecologica e, in teoria, avrebbero poco a che vedere con l’ideologia e la predicazione jihadista. Inoltre, lo spostamento verso sud di tali dinamiche, con la zona delle tre frontiere tra Burkina Faso, Mali e Niger divenuta nuovo epicentro dei problemi di sicurezza del Sahel fa si che ci siano crescenti preoccupazioni anche sulla tenuta di altri stati africani, in particolari quelli costieri che si affacciano sul Golfo della Guinea, e che sono sempre di più nel mirino di queste forze.
Sebbene storicamente estranee a questi paesi, la capacità di adattamento dimostrate in Mali e Burkina Faso dovrebbero suggerire che, anche mancando un radicamento locale, questo non è detto che non possa essere creato innestandosi nelle fratture etniche e socio-economiche che caratterizzano questi paesi.
Foto di copertina EPA/CHRISTIAN THOMPSON