Sapevamo da tempo che il vecchio ordine sarebbe scomparso. Il nuovo secolo è iniziato con gli attacchi terroristici dell’11 settembre e le conseguenti guerre in Afghanistan e in Iraq. Soprattutto quest’ultima è stata associata agli eccessi dell’egemonia americana e, di conseguenza, all’inizio della sua fine. Sapevamo da almeno due decenni che la Pax Americana sarebbe finita. Quello che non sapevamo è da cosa sarebbe stata sostituita.
Crisi finanziaria, BRICS e G20
Solo pochi anni dopo, a partire dal 2008, la crisi finanziaria globale e la conseguente crisi dell’Eurozona sembravano fornire le prime risposte. La crisi finanziaria globale è stata una crisi dell’Occidente, che ha messo a nudo le profonde vulnerabilità dell’iperliberismo che permeava il capitalismo occidentale. Ha stimolato un dibattito sul multipolarismo come alternativa all’unipolarismo statunitense: si sono formati raggruppamenti come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), è stata istituita la Banca asiatica per gli investimenti nelle infrastrutture, che ha messo in luce i fallimenti delle riforme delle istituzioni finanziarie internazionali guidate dall’Occidente.
Nuovi raggruppamenti multilaterali come il G20 sembravano più rappresentativi della distribuzione globale del potere e meglio attrezzati per affrontare le crisi dell’economia globale. La crisi finanziaria ha anche acceso il dibattito sui problemi di una globalizzazione senza freni che, pur riducendo le disuguaglianze tra i Paesi e facendo uscire un miliardo di persone dalla povertà, aveva aumentato in modo massiccio le disparità socioeconomiche all’interno dell’Occidente.
La crisi della democrazia
La crisi finanziaria ed economica, in particolare la sua cattiva gestione in Europa culminata nella crisi del debito sovrano del 2011-2012, ha fornito terreno fertile per una terza crisi, quella della democrazia, accentuata dalla cosiddetta crisi migratoria in Europa. La crisi della democrazia, caratterizzata dall’elezione di Donald Trump, dal referendum sulla Brexit, dall’ondata nazionalista-populista in Europa e altrove, dalla Turchia al Brasile, nonché dalla crisi dello Stato di diritto nell’UE con il regresso democratico dell’Ungheria e della Polonia, indicava un mondo in cui la promozione della democrazia era ormai lontana. Le democrazie liberali si occupano ora della protezione della democrazia, mentre Paesi autoritari come la Russia di Vladimir Putin iniziano a dipingersi esplicitamente come leader di un mondo illiberale.
Poi è arrivata la pandemia, una crisi che ha rivelato esplicitamente che il sistema internazionale si stava effettivamente frammentando ancora una volta; piuttosto che una chiara struttura multipolare, tuttavia, stava emergendo una nuova forma di bipolarismo, in cui la natura dei sistemi politici era centrale (democrazia contro autocrazia) e che gravitava attorno alla crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina. La pandemia è stata spesso dipinta in termini di competizione (quale sistema politico è meglio attrezzato per affrontare le grandi sfide globali?), ma ha anche dimostrato che i risultati efficaci dipendono dallo sforzo aggregato e dalle risposte multilaterali. Lo stesso vale per altre sfide transnazionali come la crisi climatica, l’intelligenza artificiale e la non proliferazione. La pandemia ha messo in luce anche un’altra contraddizione: il mondo è più connesso e interdipendente che mai, ma aumentano anche le spinte alla “de-globalizzazione”, alla chiusura, alla protezione, alla ridondanza e all’accorciamento delle catene di approvvigionamento.
Infine, l’invasione russa dell’Ucraina, toccando così tante dimensioni della sicurezza, del (dis)ordine e della governance globale, sta mettendo a nudo le contraddizioni del nostro tempo in tutta la loro forza. Ha dimostrato che il mondo è bipolare, multipolare e non-polare allo stesso tempo. Sì, c’è una forma crescente di bipolarismo, con un rafforzamento delle relazioni transatlantiche e della cooperazione all’interno del G7 Plus, e una Russia strategicamente rimpicciolita e sempre più relegata a vassallo della Cina. Allo stesso tempo, il mondo ha rivelato anche caratteristiche di multipolarismo, in particolare l’azione di ambiziose medie potenze che hanno rifiutato di allinearsi con l’Occidente o la Russia, cercando opportunità da entrambi i lati.
Un mondo “non polare”
L’India, il Brasile, il Sudafrica, l’Arabia Saudita e, in parte, la Turchia, piuttosto che stare con le mani in mano, sono intenzionati a sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal confronto globale. Tuttavia, il mondo ha anche dimostrato di essere non polare. L’ampia maggioranza dei Paesi che si sono astenuti dalle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condannavano l’invasione russa voleva essenzialmente tenersi alla larga dal conflitto, preoccupandosi principalmente delle sue conseguenze globali piuttosto che delle sue cause regionali. Questi Paesi, in Africa, America Latina e Sud-Est asiatico, ritengono di avere già abbastanza da fare a livello nazionale e regionale e non sono semplicemente disposti a farsi trascinare in una guerra che non considerano loro. Sono preoccupati per i loro affari locali e non sono legati gli uni agli altri da un collante ideologico globale: in questo senso, gli attuali “indecisi” sono fondamentalmente diversi dal movimento dei non allineati della Guerra Fredda.
La guerra ha anche rivelato che il mondo è allo stesso tempo più integrato e più frammentato. L’invasione russa dell’Ucraina è una guerra sia europea sia globale. A renderla globale sono sia i principi in gioco, dal diritto internazionale, al colonialismo, alla democrazia e ai diritti, sia le sue ripercussioni, dalla crisi energetica alla sicurezza alimentare e alla proliferazione nucleare. L’utilizzo dell’energia e del cibo come arma (weaponization) ha evidenziato nella sua forma più cruda i rischi per la sicurezza di un mondo sempre più interdipendente. Allo stesso tempo, la guerra ha portato alla ribalta la realtà che idee universali come la sovranità e l’integrità territoriale hanno relativamente poca presa a livello globale: i Paesi che difficilmente saranno direttamente colpiti dalla violazione di tali principi semplicemente non saranno disposti a pagarne il prezzo per difendersi. Per quanto triste, la guerra ha portato un nuovo livello di onestà nel dibattito internazionale.
La guerra tra Russia e Ucraina, che segue altre crisi che hanno segnato il XXI secolo, ci ha permesso di vedere con maggiore chiarezza il mondo in cui viviamo. Tuttavia, tale chiarezza ha rivelato la complessità, in particolare le contraddizioni nella natura e nella distribuzione del potere, nonché nelle forze centripete e centrifughe che lo guidano. Queste contraddizioni non sono affatto vicine a una risoluzione, rendendo sempre più sfuggente la ricerca di un’efficace governance globale incentrata su istituzioni esistenti, riformate o nuove. Siamo destinati ad arrancare ancora per un po’ nella nebbia della guerra, alternando competizione e cooperazione ad hoc, proseguendo per tentativi nel fornire soluzioni provvisorie e spesso non ottimali alle principali sfide della nostra epoca.
Foto di copertina EPA/ARTEM GEODAKYAN/SPUTNIK/KREMLIN POOL