Dopo nove settimane di proteste, continuano a essere infuocate le piazze israeliane, dove migliaia di manifestanti fanno sentire forte la loro opposizione all’annunciato piano di riforma della giustizia da parte del primo Ministro Benjamin Netanyahu e del ministro della Giustizia, Yariv Levin.
Le proteste contro la riforma della giustizia
Le proteste, negli ultimi giorni hanno interessato anche i cieli israeliani, cosa che ha permesso, in un gioco tutto locale, ai vertici dell’opposizione al governo Netanyahu di condannare la riforma e la protesta allo stesso modo. I riservisti dell’aviazione, grazie anche a una lettera firmata da tutti gli ex capi della forza militare e indirizzata al premier, hanno annunciato che non prenderanno parte all’addestramento previsto. Una decisione che mette a repentaglio la sicurezza israeliana e nasce dal fatto che la riforma, se approvata, li potrebbe esporre a giudizi di organismi esterni, come i tribunali internazionali.
La scelta dei riserviti è stata ovviamente condannata dal governo, con Netanyahu che ha twittato una sua foto d’epoca in divisa riservista, ma è stata criticata anche dai vertici dell’opposizione, in particolare da Yair Lapid e dall’ex ministro della difesa e leader dei russofoni Avigdor Liberman che ovviamente si sono più volti espressi in favore della piazza e della protesta nei confronti della paventata riforma giudiziaria, che intanto ha avuto la sua prima lettura alla camera israeliana.
Le preoccupazioni dei giudici
Se approvata, la riforma della giustizia aumenterà i poteri per la Knesset (il Parlamento israeliano), permettendogli di annullare le sentenze della Corte Suprema con una maggioranza semplice. Il timore di molti è che il governo in tal caso potrebbe utilizzare tale strumento a suo favore: Netanyahu per bloccare eventuali ulteriori processi contro di lui, mentre il governo in generale, si dice, potrebbe avere più facilità ad approvare leggi a favore ad esempio degli insediamenti, o per favorire ulteriormente le mire espansionistiche israeliane in Cisgiordania.
Con il sistema al momento vigente i giudici della Corte suprema possono bocciare le leggi approvate dal Parlamento, se contraddicono le 13 Basic Laws di Israele, la legge costituzionale dello Stato ebraico. Con la riforma verrebbe invece introdotta una “clausola di annullamento” che permetterebbe ai deputati di reintrodurre una norma bocciata dalla Corte suprema con una maggioranza semplice di 61 voti (su 120). Un altro timore è che, con la riforma, potrebbe verificare un indebolimento della magistratura rispetto all’esecutivo.
Al momento in Israele, i giudici della Corte Suprema sono nominati e revocati da un comitato composto da professionisti, membri del governo e alcuni giudici. La riforma di Levin vorrebbe invece dare al governo la maggioranza nel comitato, con i numeri che propendono per il governo in carica. I giudici della Corte Suprema verrebbero dunque per lo più scelti dal governo. Per i giudici, il piano di riforma del governo Netanyahu schiaccerebbe il sistema giudiziario e minerebbe la democrazia del paese. Di parere ovviamente opposto è il ministro della Giustizia, Levin, secondo il quale il nuovo piano servirà a bilanciare i poteri dello stato. “Andiamo alle urne, votiamo, scegliamo, ma di volta in volta poi persone che non abbiamo scelto decidono per noi – ha detto Levin – alludendo al potere dei giudici di ribaltare le leggi – è giunto il momento di agire”.
Netanyahu tra piazza e destra sionista
La preoccupazione principale della piazza è che con la riforma, vengano minati anche i diritti delle minoranze e della parte laica del paese. In alcune occasioni, le proteste si sono fatte violente, con la polizia che è intervenuta con mano pensante a sedare scontri, invitata a ciò dal ministro della sicurezza Itmar Ben Gvir. Quello che colpisce è che non è una novità che il premier Netanyahu faccia campagne contro il sistema giudiziario. Non solo per una sorta di rivalsa o rivincita contro chi lo ha messo a giudizio in quattro procedimenti, un processo che però langue e stenta a decollare dal momento che i testi dell’accusa hanno via via ridimensionato la loro posizione.
Netanyahu non ha mai nascosto la sua avversione per coloro che molto spesso hanno sovvertito o bloccato le decisioni dei suoi governi. Nel suo credo politico-amministrativo, il mandato elettorale gli dà la possibilità di decidere il bello e il cattivo tempo, avendo numeri e capacità. Dopotutto, anche i sondaggi, gli danno ragione: nel Paese la maggioranza ancora lo sostiene e appoggia la sua decisione di riforma giudiziaria. Certo, la piazza infiammata è un brutto segnale e bisogna tener conto anche degli appelli del presidente Isaac Herzog che ha richiamato il paese alla calma e ha offerto una tregua basata su una proposta in cinque punti. Appelli alla calma da parte di tutti, da ogni settore civile e anche dall’estero.
Un ripensamento, potrebbe minare l’autorevolezza di Netanyahu e indebolirlo nei confronti dei suoi alleati più forti, come Ben Gvir e Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze ed esponente, come il primo, della destra estrema sionista. Questi hanno rumoreggiato nei giorni scorsi, facendo assentare alcuni parlamentari nella Knesset, quando Netanyahu ha deciso di intavolare un dialogo con i palestinesi, accettando che i servizi dello Shin Bet partecipassero il 26 febbraio scorso ad un incontro ad Aqaba con i vertici dei servizi palestinesi sotto l’egida del regno Hashemita. Al termine dell’incontro si è deciso di bloccare la nascita di insediamenti per sei mesi e riattivare il coordinamento di sicurezza, il tutto per garantire un clima di tranquillità durante il Ramadan e le festività pasquali ebraiche.
I disordini di Huwara, Za’tara e Gerico
Decisioni che Smotrich, che da pochi giorni ha ottenuto anche ampia autorità sulle questioni civili in Cisgiordania come la costruzione di insediamenti, ha immediatamente liquidato come prive di significato, annunciando che l’espansione delle colonie non si fermerà. Anche perché mentre sulle rive del Mar Rosso si riunivano e riavvicinavano le distanze, a qualche centinaia di chilometri a nord ovest, a Hawara, una cittadina palestinese circondata da alcuni insediamenti di coloni israeliani, due ebrei venivano uccisi a colpi di arma da fuoco mentre si trovavano in auto. L’omicidio ha scatenato la furia di una folla inferocita di coloni che hanno letteralmente messo a ferro e fuoco la cittadina, dando alle fiamme almeno 35 case che sono risultate distrutte completamente, mentre altre 40 sono state danneggiate parzialmente, oltre 100 vetture sono state distrutte dalle fiamme.
Nel vicino villaggio di Za’tara, a Nablus, l’assalto dei coloni ha provocato l’uccisione di una un uomo palestinese. Durante l’assalto dei coloni, almeno nove le famiglie hanno rischiato di morire bruciate nelle loro case ma sono state salvate. Ventiquattr’ore dopo, più a sud nei pressi di Gerico, un altro ebreo, di origini americane, veniva ucciso mentre transitava in auto, allo stesso modo dei due fratelli di Hawara. Per quest’ultimo attentato, tre palestinesi sono stati arrestati, come sei i coloni arrestati per l’assalto alla cittadina. Si cerca ancora il responsabile dell’attentato di Hawara.
Quella di Netanyahu non è una situazione facile. In questo periodo deve affrontare piazza e alleati, a poco più di quattro mesi dalla vittoria elettorale. Difficile che la prima possa far cadere il governo, più probabile che l’esecutivo imploda a causa delle posizioni di giorno in giorno sempre più forti ed estreme dei partiti di Smotrich e Ben Gvir, che minano la stabilità sia interna, con il pugno duro sui manifestanti, che esterna, con la chiusura a qualsiasi contatto con i palestinesi. E con l’avvicinarsi delle festività pasquali ebraiche e l’inizio del Ramadan, le prospettive di un periodo normalmente destinato alla famiglia e alla tranquillità del focolare, si allontanano.
Foto di copertina EPA/ABIR SULTAN