Due sono gli appuntamenti elettorali contornati in rosso sul calendario politico internazionale 2022: le presidenziali francesi il 10 e il 24 aprile e il voto di midterm negli Stati Uniti l’8 novembre. Ma l’agenda elettorale del nuovo anno è molto fitta di scadenze.
Dove e quando si voterà
Nell’Ue, si voterà per le parlamentari in Portogallo, anticipate al 30 gennaio; in Austria per le presidenziali in autunno, con una situazione politica è instabile dopo l’uscita di scena inattesa di Sebastian Kurz; in Slovenia le parlamentari si terranno ad aprile e le presidenziali a ottobre; in Ungheria si terranno le parlamentari in primavera; in Svezia si voterà per le parlamentari a settembre, se il governo monocolore socialdemocratico di ultra-minoranza tiene fino ad allora; non si può escludere che si voti pure in Italia.
Altrove, ci saranno le presidenziali in Brasile, programmate per il 2 ottobre, e in Colombia per il 29 maggio. Dall’altra parte del mondo in India ci sarà la consueta maratona e nelle Filippine l’appuntamento è per il 9 maggio. Appuntamenti con le urne pure in Australia, politiche previste in Primavera e in Corea del Sud, dove si voterà per eleggere il nuovo presidente il 9 marzo. Libano, Tunisia, Kenya, sono altri paesi che torneranno alle urne, senza dimenticare le fantomatiche elezioni in Libia, che paiono sempre imminenti, ma che vengono sempre rinviate in extremis – com’è successo prima di Natale.
Altre date sul calendario politico internazionale 2022 sono il vertice del G7 dal 26 al 28 giugno nelle Alpi bavaresi, allo Schloss Elmau, dove cancelliere tedesco Olaf Scholz farà dunque l’esordio fra i Grandi da presidente. Il vertice del G20 è programmato in autunno a Bali sotto la presidenza di turno indonesiana. Rituali i vertici europei, che si succederanno a Bruxelles con ritmo più o meno trimestrale – i primi il 24 e 25 marzo e il 23 e 24 giugno – e gli appuntamenti di primavera e d’autunno di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.
Il semestre europeo
In Francia, Emmanuel Macron, presidente candidato alla riconferma e sulla carta è il favorito, ma dovrà bilanciare campagna elettorale e impegno europeo, perché la Francia, dal primo gennaio e fino al 30 giugno, esercita la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue: un semestre in cui cade anche la fine della conferenza sul futuro dell’Europa, se i termini non saranno prorogati, vista l’esiguità di quanto finora prodotto.
La congiuntura fra i primi passi del nuovo governo tedesco, dopo 16 anni a guida Angela Merkel, l’appuntamento elettorale francese e l’incertezza politica italiana – qui, i giochi per la presidenza della Repubblica possono modificare gli assetti di governo e pesare sulla durata della legislatura – gioca a sfavore dell’Unione europea, impegnata a superare definitivamente la pandemia, ‘governare’ la ripresa dell’economia, offrire una risposta comune su temi come flussi migratori e difesa e sicurezza. Difficile riuscirci senza una guida forte, sicura e stabile, che non può essere offerta in questa fase dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, politicamente indebolita dal fatto che il suo partito, la Cdu, è ormai all’opposizione in Germania.
Il midterm negli Usa e la debolezza di Biden
Negli Stati Uniti, la popolarità del presidente Joe Biden è molto bassa non a causa della pandemia o della crisi afghana a fine agosto, ma soprattutto per l’inflazione, che torna a erodere i redditi, nonostante la crescita sostenuta. Il voto di midterm rischia di privare il partito democratico della maggioranza sia al Senato, dove la situazione è di equilibrio, con 50 democratici e 50 repubblicani, sia alla Camera, dove i democratici hanno una manciata di seggi in più dei repubblicani.
‘Uncle Joe’, 79 anni compiuti, era parso sulle prime galvanizzato dal potere presidenziale e si era persino meritato l’appellativo di ‘Tiger Joe’, per la fermezza, quasi durezza, verso Cina e Russia. Ma poi l’estate, l’indole e magari l’età ci hanno restituito lo ‘Sleepy Joe’ dei dileggi trumpiani: Biden non sa dare un’immagine di forza e di autorevolezza, appare più stanco che saggio e più indeciso che pragmatico, subendo la rissosità del partito democratico invece di gestirla.
A dieci mesi dal voto di midterm dell’8 novembre, c’è tempo per correre ai ripari, ma non bisogna più sbagliare mosse. Indebolito dai suoi errori e dalla litigiosità interna alla sua base – la sinistra è insoddisfatta delle misure sociali fin qui adottate – Biden rischia una seconda metà del suo mandato da ‘anatra zoppa’: una prospettiva che rivitalizzerebbe le ambizioni presidenziali 2024 (mai sopite) di Donald Trump, che continua ad esercitare un forte controllo sul partito repubblicano.
Mentre i democratici non riescono a rinnovare la loro gerontocratica leadership, falcidiata nel 2021 da abbandoni e decessi – ultimo in ordine di tempo, quello del senatore del Nevada Harry Reid. Al vertice del partito, della nomenklatura, delle istituzioni, e anche dell’opposizione interna, restano i Clinton, Biden, gli Obama – dei giovincelli, nel lotto – Pelosi, Sanders e Warren.
Filippine e Brasile: ‘trumpiani’ addio
Il 2022 potrebbe portarsi via due ‘trumpiani doc’: i presidenti delle Filippine Rodrigo Duterte, autoritario e violento, e del Brasile Jair Messias Bolsonaro, omofobo e negazionista.
Duterte ha già rinunciato a sfidare la Costituzione e a correre per un secondo mandato. Ma il voto del 9 maggio, con il rinnovo contestuale di Camera e Senato, si annuncia un trionfo di nepotismi, con nostalgie autoritarie. La figlia di Duterte, Sara, è candidata alla vicepresidenza, facendo ticket con Ferdinando Marcos Junior, detto Bongbong, figlio dell’ex dittatore Ferdinando Marcos, che fu per vent’anni al potere fino al 1986. Nell’anomalo agone politico filippino, oltre a ‘figli di’, ci sono pure sportivi, come l’ex campione del mondo di pugilato Manny Pacquiao, e attori, come Francisco ‘Isko’ Moreno.
In Brasile Bolsonaro, che al momento ha il consenso solo di un quinto dell’elettorato, dovrà affrontare il leader della sinistra Inacio Luca da Silva, presidente dal 2003 al 2010, poi fatto fuori dalla scena politica da un’inchiesta politicamente motivata, per cui finì in carcere per poio uscirne riabilitato dalla Corte Suprema. Corre per la presidenza pure il giudice che lo inquisì, Sergio Moro.
Crisi reali e minacce gonfiate
Il 2021 non è stato di parola: non s’è portato via la pandemia e nessuna delle altre grane che affliggono il mondo, conflitti, carestie, povertà, migrazioni, egoismi nazionali e individuali. Tranquilli!Ci pensa il 2022, che, come tutti gli anni, parte con i propositi migliori. Lato pandemia, forse smetteremo di contare le ondate e impareremo a convivere con il virus. Lato pace, capiremo che alcune delle tensioni che la minacciano, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’annessione di Taiwan da parte della Cina, sono solo spauracchi agitati da Mosca e Pechino e ingigantiti dall’occidente: le tensioni internazionali sono spesso un comodo paravento dietro cui nascondere le beghe interne con cui tutti i leader, democratici o autoritari che siano, devono confrontarsi.