Lo scorso 8 giugno uno scoop del Wall Street Journal aveva portato alla luce le negoziazioni tra Pechino e L’Avana per arrivare a un accordo multimiliardario sulla costruzione di una nuova base militare a Cuba. La base, favorita dalla strategica vicinanza geografica tra l’isola caraibica e le coste americane, avrebbe una specifica funzione di spionaggio tramite intercettazione elettronica verso le comunicazioni statunitensi.
Dopo le smentite dei due governi coinvolti, la Casa Bianca e il Pentagono avevano bollato la notizia come “inaccurata”. Due giorni dopo, con un’intervista anonima non autorizzata un funzionario dell’amministrazione Biden ha spiegato che il problema è stato “ereditato” dall’amministrazione Trump: la base è attiva a L’Avana dal 2019, a Washington ne sono consapevoli e hanno già preso provvedimenti.
Il viaggio di Blinken in Cina
Le dinamiche di spionaggio tra Washington e Pechino fanno parte della politica internazionale, ma questa ennesima rivelazione pubblica di una minaccia cinese alla sicurezza USA non sarebbe potuta arrivare in un momento più delicato. In quei giorni il Segretario di Stato americano Antony Blinken stava limando i dettagli del suo viaggio in Cina, appuntamento cruciale per il disgelo delle relazioni tra le due potenze. Lo stesso viaggio era stato cancellato dall’amministrazione Biden a febbraio, quando un sospetto pallone aerostatico cinese era stato sorpreso a sorvolare il territorio americano e abbattuto. Palloni simili erano stati poi avvistati nei cieli latinoamericani, tra Costa Rica, Colombia e Venezuela.
Questa volta lo spionaggio cinese non ha fermato il volo di Blinken, che, spinto dai lavori del G7 su de-risking e dialogo diplomatico con la Cina, tra il 16 e il 19 giugno ha incontrato il ministro degli Esteri Qin Gang e il presidente Xi Jinping. Durante il colloquio con Qin Gang, definito “sincero e costruttivo”, Blinken avrebbe sollevato alcune “questioni di preoccupazione”. Tra queste dovrebbe esserci stata la base cubana, come confermato dallo stesso Segretario. Inoltre, dalla Casa Bianca hanno raccontato di passarti sforzi diplomatici che avrebbero già rallentato l’espansione di basi cinesi all’estero, e di contatti con L’Avana per esprimere le preoccupazioni americane. Tutto ciò potrebbe doversi ripetere, dato che il Wall Street Journal ha scritto di una nuova base di addestramento militare cinese, sempre a Cuba.
Lo stato di salute delle relazioni Cuba-USA
La notizia di una stazione straniera a Cuba per spiare gli Stati Uniti ha riportato alla memoria di molti osservatori alcuni passaggi storici. Dall’esagerato paragone con la crisi missilistica del 1962 alla stazione sovietica di segnali elettromagnetici ‘Lourdes’, sempre a L’Avana: una delle più vaste stazioni di spionaggio russe, attiva tra gli anni Sessanta e Duemila, di cui nel 2014 il presidente Vladimir Putin aveva negato la sospetta riapertura. Non occorre però tornare alla Guerra Fredda per rivivere l’ultimo incidente diplomatico legato allo spionaggio tra USA e Cuba.
Nel 2017, a due anni dalla storica riapertura dell’ambasciata americana a L’Avana, l’amministrazione Trump ordinò il rimpatrio del personale diplomatico non essenziale. Esplodono infatti i casi di sintomi tra diplomatici e spie americane, da allora noti come ‘Sindrome dell’Avana’. Ad oggi, l’ultimo studio dell’intelligence americana ha escluso che i disturbi possano essere collegati a potenze straniere. Secondo nuove inchieste giornalistiche, tra le vittime e i membri dell’amministrazione Trump i dubbi restano, e sono sospettate le intelligence di Cina, Russia e della stessa Cuba. Ad emergere in questi giorni diventa quindi la notizia che nel 2019, a due anni da quegli incidenti che il governo di Cuba ha sempre negato, Pechino avrebbe chiesto di ospitare una base per spiare gli Stati Uniti e lo stesso governo cubano avrebbe accettato.
Anche tralasciando i giochi di spie, i rapporti tra L’Avana e Washington non godono di buona salute. Dal suo insediamento, l’amministrazione Biden ha tentato di smantellare alcune politiche dei predecessori, restrittive verso Cuba, ammorbidendo le sanzioni e facilitando gli scambi. Questa politica ha trovato diversi oppositori a Washington, mentre il governo cubano alternava facilitazioni agli investimenti americani e repressioni dei diritti umani durante le proteste scoppiate con la pandemia. Negli ultimi mesi, l’isola caraibica è stata meta dei tour diplomatici del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e del presidente iraniano Ebrahim Raisi. Nelle rispettive occasioni, entrambi hanno anche visitato Venezuela e Nicaragua, completando quel triangolo di paesi autoritari dell’America Latina soggetti a sanzioni statunitensi e, ha sostenuto Raisi, oppositori dell’ “imperialismo Yankee”.
E la Cina in America Latina?
Dagli Stati Uniti la nuova base cubana suona come una risposta cinese alle attività militari americane a Taiwan, che dista dalla Cina continentale quanto Cuba dalla Florida. La presenza di basi cinesi in America Latina sembra però essere parte di una specifica strategia di Pechino nella regione. Dal Cono Sud continuano infatti a emergere notizie di accordi per la costruzione di infrastrutture adatte all’intelligence o all’utilizzo militare, soprattutto in Argentina. Il governo regionale di Tierra del Fuego ha da poco firmato il permesso perché un’impresa statale cinese costruisca una base navale con proiezione antartica.
Quest’ultima si aggiungerebbe alla stazione spaziale di Neuquén e alle nuove antenne che Pechino starebbe costruendo a Río Gallegos. E al di fuori dell’Argentina, la Cina continua ad avere accesso alle stazioni satellitari di molti paesi latinoamericani, oltre che a firmare accordi di cooperazione spaziale, come durante l’ultimo viaggio del presidente brasiliano Lula da Silva a Pechino.
Queste attività sensibili per la sicurezza americana dimostrano come Xi Jinping goda di un enorme vantaggio economico, politico e valoriale con i governi dell’America Latina, e come l’amministrazione Biden fatichi a trovare il gancio giusto per recuperare i rapporti con i paesi della regione. In questo scenario, alla Cina fa comodo avere Cuba dalla sua parte e allontanare l’isola dai tentativi di riavvicinamento di Obama prima e Biden poi. Con il supporto cinese, anche L’Avana non avrebbe grandi incentivi per riavvicinarsi a Washington. La buona notizia resta però che di tutto ciò Blinken e colleghi ammettono di esserne consapevoli.
Foto di copertina EPA/Liu Bin/POOL