22 Dicembre 2024

L’Italia nella Nato tra deterrenza europea e necessità mediterranee   

L’aggressione militare russa in Ucraina iniziata il 24 febbraio di quest’anno ha riacceso i riflettori sulla necessità, per l’Italia, di lavorare insieme ai partner transatlantici per gestire l’impatto che tale invasione – il tentativo russo di cambiare le fondamenta del sistema di sicurezza europea costruito negli ultimi 30 anni – ha avuto.

Questo sforzo, in realtà, è in atto già da alcuni anni. Gli eventi del 2014, con l’annessione illegale russa della Crimea e l’inizio del conflitto a bassa intensità nel Donbas, ridiedero già slancio alla necessità, per la Nato, di adottare misure diverse in Europa centro-orientale sia per rassicurare i paesi di tale spazio sia per mandare un messaggio di deterrenza alla Russia, e l’Italia da allora è partecipe di tali sforzi.

Le iniziative della Nato per la deterrenza

Al summit di Varsavia del luglio 2016, la Nato lanciò l’iniziativa Enhanced Forward Presence (EFP), forza di difesa e deterrenza schierata in Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia. Attraverso l’EFP, l’Alleanza ha schierato per la prima volta forze di combattimento a est dell’ex confine est-ovest della Germania, sebbene lo abbia fatto su base rotazionale piuttosto che permanente, in modo da rispettare una disposizione specifica dell’atto costitutivo NATO-Russia del 1997.

L’Italia decise di contribuire, pur sottolineando di averlo fatto “non [come] politica di aggressione nei confronti della Russia, ma di rassicurazione e difesa dei nostri confini come alleanza atlantica”, come rimarcato dall’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Il contingente italiano è stato schierato in Lettonia. Nella stessa logica, l’Italia partecipa alla missione Enhanced Air Policing (EAP) in Romania. I caccia italiani sarebbero dovuti rientrare in Italia dopo che Roma ha consegnato il comando della missione ai britannici nell’aprile 2022, ma sono rimasti, raddoppiando (passando da quattro a otto.) Roma inoltre è tra i principali contributori ad altre missioni di polizia aerea della Nato, con supporto ad attività di pattugliamento aereo in Islanda, Bulgaria, Slovenia, Macedonia del Nord e Montenegro.

Dopo febbraio, l’Italia si è anche ulteriormente impegnata nel rafforzare il proprio supporto alle attività di deterrenza Nato. In tal senso, vi è una piena identità di veduta tra Draghi e Guerini. L’Italia ha annunciato l’intenzione di rafforzare i proprio contingenti – previa approvazione parlamentare – in Bulgaria e Ungheria, rispettivamente di 750 e 250 unità. In Bulgaria il passaggio è particolarmente importante, visto che l’Italia assumerà il ruolo di Framework Nation, con responsabilità di comando, controllo, e logistica. A tale sforzo sul fronte orientale, corrisponde anche una più marcata azione italiana rispetto alla cosiddetta sponda sud, sforzo che in realtà precede l’inizio della guerra d’aggressione russa in Ucraina.

L’impegno crescente dell’Italia

In questo contesto, l’Italia sta assumendo anche una serie di crescenti responsabilità militari. Nel febbraio 2021, la Nato ha annunciato che l’Italia avrebbe assunto il controllo della missione in Iraq dalla Danimarca nel 2022. Inoltre, insieme ad una presenza militare non combattente in Libia, l’Italia sta diventando sempre più coinvolta diplomaticamente, con l’apertura di nuove ambasciate, e militarmente nel Sahel, sebbene nelle ultime settimane ci sia incertezza sul futuro del ruolo europeo in questo spazio.

Tali decisioni sono conseguenza di una serie di interessi di fondo. In primis, la necessità, nata dopo il 2014 e rafforzatasi in maniera decisiva dopo il 24 febbraio di quest’anno, di prendere sul serio le paure degli alleati centro-orientali rispetto al revanscismo russo. Tale passaggio, in passato, non ha sempre incontrato orecchie attente a Roma. L’attuale governo, con un asse atlantista molto marcato centrato su Draghi e Guerini, ha lavorato sin dall’inizio della guerra in Ucraina per dimostrare coi fatti come l’Italia supporti tali attività di deterrenza sul fronte orientale.

Alcune di queste operazioni, come quelle in Lettonia e Romania, vanno avanti dal 2017, e non furono abbandonate neanche dal governo populista giallo-verde targato Movimento 5 Stelle e Lega nato nel 2018, partiti ad oggi tra le forze politiche più sensibili agli interessi di Mosca esistenti in Italia. A dimostrazione che, quando al governo, anche forze populiste – sebbene in maniera spesso silenziosa – restino ancorate ai capisaldi tradizionali dell’approccio italiano rispetto alla sicurezza europea e transatlantica.

L’Italia tra confine est e Mediterraneo

In questo ambito, però, l’Italia ha da sempre posto anche l’accento sulla necessità di bilanciare la deterrenza anti-russa e con un coinvolgimento Nato più deciso verso la sicurezza nel Mediterraneo. Questo fu uno dei cavalli di battaglia italici al summit di Varsavia, di Londra, e lo sarà probabilmente a Madrid tra qualche settimana. Le crescenti responsabilità prese in sede Nato in Iraq dimostrano che l’attuale governo supporta tale approccio non solo a parole, ma con azioni concrete.

Questo è anche un messaggio agli alleati, in particolare a Washington, a vari livelli. Sebbene l’Italia probabilmente aumenterà la spesa militare come risposta alla guerra in Ucraina, venendo incontro alle esigenze spesso espresse dagli americani in passato, tale attivismo dimostra che vi sono svariati modi per rafforzare il Burden-Sharing transatlantico, e che l’ossessione del 2% non debba essere necessariamente l’unico indicatore per misurare tale impegno.

Inoltre, con tali azioni, l’Italia dimostra un interesse atto a supportare un maggior protagonismo europeo in ambito Nato, con un doppio fine. Sia rafforzare l’alleanza in sé ma anche mostrare come l’attivismo europeo nel vicinato, in particolare quello meridionale dove gli americani faticano a tenere l’attenzione alta come in passato, sia un passaggio che possa anche aiutare il rafforzamento dell’autonomia strategica europea, vista non in opposizione alle logiche transatlantiche ma in termini di complementarietà e “sostenibilità transatlantica”.

Foto di copertina ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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