Dopo cento giorni di guerra all’Ucraina, la parola che ha sintetizzato con efficacia il quadro della situazione è “stallo”. Stallo sotto il profilo militare, perché dopo il fallimento della annunciata blitzkrieg , c’è stata un’iniziale controffensiva ucraina, cui è seguito il cambio di strategia delle forze russe che hanno concentrato gli sforzi sul Donbass, dove hanno conquistato nuovi territori a cominciare da Mariupol.
Ma l’offensiva russa non può dirsi ancora travolgente, e probabilmente l’Ucraina potrà dire ancora la sua con l’arrivo dei nuovi armamenti costituiti soprattutto da lanciamissili con maggiori gittate e volumi di fuoco. Per questo si parla di una guerra di logoramento ancora destinata a durare diverso tempo.
La diplomazia bloccata
Lo stallo è soprattutto diplomatico, perché anche lo spiraglio per i “corridoi del grano” richiederà tempo e verifiche perché sia messo in atto. Ci sono ancora molti punti da chiarire nelle intese, posto che occorrerà vedere realmente come potrà realizzarsi lo sminamento del bacino di Odessa e che tipo di dispositivi occorrerà schierare per garantire il transito delle navi-cargo. Il timore, più che giustificato, degli ucraini e della Nato è che poi la Russia ne approfitti interrompendo con qualche pretesto la tregua, per lanciare l’ennesimo attacco su Odessa, che a questo punto non sarebbe più difesa dalla barriera delle mine.
Lo stallo sul fronte diplomatico è in ogni caso su vari fronti. Anche per i prigionieri di Mariupol, nonostante i “buoni uffici” promossi dall’Onu per assicurare la loro tutela, la Russia non sembra affatto orientata a fare concessioni su uno scambio, e anzi ha annunciato di volerli sottoporre a processi per asseriti crimini di guerra. Ma, a differenza di quanto documentato per i processi avviati in Ucraina, in questo caso fonti indipendenti ritengono che si tratti solo di una iniziativa strumentale e di propaganda, perché le accuse dei russi non si fonderebbero su prove di fatti concreti, ma sarebbero solo incentrate sulla abusata narrazione del “nazismo” dei combattenti di Mariupol.
Ancora più incerta è poi la prospettiva più ampia dei negoziati sul cessate il fuoco, che ora vedrebbe un “piano turco” che punterebbe a “congelare” – ma come ? – le questioni relative a Donbass e Crimea, per puntare poi su una nuova iniziativa per il cessate il fuoco, a cominciare da alcune aree.
La crisi umanitaria
Lo “stallo” è anche sul fronte della politica internazionale più generale. L’Onu ha condannato la guerra ma stenta a fare altri passi avanti più incisivi, nonostante non manchino potenzialmente gli strumenti e il consenso della maggior parte degli Stati almeno per far cessare il disastro umanitario: si stimano oltre 40 mila vittime e 19 mila feriti tra le forze belligeranti e di 4100 vittime civili, di cui 260 bambini, di 5 mila feriti, tra cui 420 bambini, mentre i rifugiati ucraini sono 6,8 milioni, e gli sfollati a 8 milioni. E la Procura generale ucraina ha ricevuto segnalazioni per 11 mila casi di crimini di guerra commessi da soldati russi contro civili ucraini.
Sanzioni e divergenze nell’Ue
L’Unione europea ha certamente dato un contributo essenziale alla scelta promossa da Stati Uniti e Nato di dare aiuti economici e militari all’Ucraina e di colpire la Russia sul piano delle sanzioni: il divieto delle importazioni russe nell’Unione europea avrebbe raggiunto il valore di 17 miliardi di euro, mente quello delle sanzioni sulle esportazioni ammonterebbe a 22,8 miliardi di euro, un dato che rappresenta il 25 % del volume di quelle precedenti alla guerra. Ma è emerso che all’interno del dibattito europeo sono emerse posizioni talvolta divergenti, dove in particolare le titubanze che hanno più preoccupato sono venute dalle riserve della Germania sull’impatto energetico del sistema delle sanzioni, anche probabilmente per le pressioni di forti centri di interesse tedeschi che hanno consolidati rapporti finanziari e commerciali con la Russia.
L’Unione Europea è stata ostaggio del suo processo decisionale per oltre un mese sul “sesto pacchetto” delle sanzioni, dove ha avuto un peso il veto di Viktor Orbán, premier dell’ Ungheria, un Paese che conta dieci milioni di abitanti, poco meno del 3% della popolazione europea. In ogni caso l’embargo sul petrolio russo non sarà operativo prima di 8 mesi, e sono state previste deroghe per Repubblica Ceca e Bulgaria, mentre l’Ue ha dovuto rinunciare, per le pressioni di Orbán, ad estendere le sanzioni al patriarca Kirill, che ha sostenuto ideologicamente l’aggressione all’Ucraina e che secondo molti osservatori è anche un oligarca con risorse patrimoniali considerevoli.