Emmanuel Macron ha scelto di cambiare il meno possibile nel passaggio dal suo primo al suo secondo mandato quinquennale all’Eliseo. Il nuovo governo dell’ex socialista Elisabeth Borne, prima ministra che sostituisce Jean Castex a palazzo Matignon, intende camminare sulle due gambe del dialogo e delle riforme.
I nomi chiave
In questa compagine spiccano le conferme di due ex membri del partito dei Républicains – Bruno Le Maire e Gérald Darmanin – nei dicasteri chiave delle Finanze (ribattezzato in ministère de l’Economie, des Finances et de la Souverainité industrielle et numérique) e degli Interni. La trojka Borne-Le Maire-Darmanin è la chiave di volta del nuovo governo francese : un ordine gerarchico ufficiale che illustra il fondamentale e preponderante peso politico di questi tre leader in seno all’esecutivo.
La novità principale è la nomina al Quai d’Orsay di una persona che conosce perfettamente la diplomazia francese, la macchina comunitaria e gli ambienti internazionali: Catherine Colonna è stata portavoce del presidente Jacques Chirac nel periodo 1995-2004, ministra degli Affari europei (2005-07) e poi ambasciatrice all’Unesco, in Italia, all’Ocse e in Gran-Bretagna.
È una delle tre sole donne ad aver avuto nella storia del Quai d’Orsay il titolo di “ambassadeur (ambassatrice) de France”. Catherine Colonna (la cui presenza alla testa del Quai d’Orsay è un buon segnale per l’avvenire delle relazioni italo-francesi) succede a Jean-Yves Le Drian, esponente storico del Partito socialista, entrato cinque nani fa nella galassia macronista.
Continuità e cambiamento
Catherine Colonna, Bruno Le Maire, Gérald Darmanin, Elisabeth Borne e Jean-Yves Le Drian riassumono una sorta di elite delle ultime quattro presidenze di Chirac, di Sarkozy, di Hollande e naturalmente di Macron (di cui la nuova prima ministra è stata, nel corso degli scorsi cinque anni, ministra dei Trasporti, della Transizione ecologica e del Lavoro). Anche questo è un segno di continuità e al tempo stesso di cambiamento. A lanciarlo è un presidente che conosce gli attuali (e profondamente contraddittori) sentimenti dei suoi connazionali, pronti a chiedere a gran voce le changement, salvo poi protestare ogni volta che qualcosa comincia a cambiare davvero. Oggi più che mai, Macron è convinto che alcune riforme (in primis quella delle pensioni) siano indispensabili, ma sa di dover tranquillizzare l’opinione pubblica se vuole evitare una nuova stagione di guerriglia sociale.
Il nuovo governo include una conferma inattesa: quella del ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti (avvocato inviso a gran parte dei magistrati) una nomina attesa e comunque sorprendente – quella di Daniel Abad, capogruppo dei Républicains all’Assemblea nazionale, che passa al macronismo e diventa ministro delle Solidarietà – e alcuni volti nuovi. Due sopra tutti: Rima Abdul Malak passa da consigliera culturale di Macron a ministra della Cultura e Pap Ndiaye, esperto nella storia delle minoranze etniche, diventa ministro dell’Educazione nazionale.
L’opposizione in difficoltà
Il governo nato il 20 maggio sarà con ogni probabilità ritoccato tra un mese, a seguito delle elezioni del 12-19 giugno, quando i francesi andranno alle urne per eleggere i 577 membri dell’Assemblea nazionale. Nell’immediato, questo esecutivo deve scendere in campo in una campagna elettorale da cui i fedeli del presidente della Repubblica vogliono e devono assolutamente uscire vincitori. Dalla loro parte c’è la tradizione : tutte le volte che le elezioni legislative si sono svolte subito dopo le presidenziali, i francesi hanno dato al capo dello Stato lo strumento parlamentare per gestire davvero la situazione.
E dalla loro parte c’è anche l’attuale contesto politico nazionale, che vede le tre opposizioni in una situazione difficile. Dopo aver superato l’ostacolo del primo turno presidenziale e aver ottenuto un lusinghiero 42 per cento al secondo turno, Marine Le Pen sta conducendo una campagna sottotono in vista del prossimo appuntamento con le urne. Sembra non riuscire a ritrovare la sua grinta degli scorsi mesi. Dal canto loro, i Républicains sono in difficoltà sul piano nazionale e alle elezioni di giugno riusciranno a stare a galla solo grazie alla loro persistente forza locale.
Infine, la coalizione di sinistra potrebbe non andar male in termini di voti nazionali, ma è troppo identificata in un personaggio divisivo come Jean-Luc Mélenchon ed è indebolita dalla presenza, nella maggioranza delle circoscrizioni, di candidati mélenchonistes che difficilmente potranno superare l’ostacolo del primo turno e spuntarla ai ballottaggi. Macron può prepararsi a sorridere. Almeno fino all’autunno.
Foto di copertina EPA/LUDOVIC MARIN / POOL MAXPPP OUT