Il 30 marzo scorso il presidente tunisino Kais Saïed ha annunciato la decisione di sciogliere il Parlamento, in un discorso dai toni visibilmente irritati, andato in onda sulla tv di stato. L’iniziativa è giunta a distanza di poche ore dalla sessione plenaria straordinaria tenuta su Zoom da alcuni membri del Parlamento (sospeso da luglio) che, in aperta sfida al Presidente, avevano deciso di riunirsi per esprimere il proprio voto – simbolico, ma dalla forte valenza politica – contro le misure eccezionali introdotte da Saïed. Una mossa non scontata, data la finora cauta reazione delle parti politiche a fronte dell’ormai evidente deriva autoritaria del Presidente.
Saïed ha denunciato l’atto qualificandolo come un tentativo di colpo di Stato e, invocando l’art. 72 della Costituzione, ha giustificato il proprio provvedimento come motivato dalla necessità di proteggere lo Stato e le sue istituzioni. Accusando i parlamentari coinvolti di tradimento alla nazione, ha poi chiesto al ministro della Giustizia di avviare un’inchiesta giudiziaria contro di loro con l’accusa di “cospirazione contro la sicurezza dello Stato”. Almeno trenta di loro, tra cui lo stesso Ghannouchi (speaker del Parlamento nonché leader di Ennahda, partito attualmente maggioritario dell’Assemblea), sono stati convocati dall’unità anti-terrorismo già venerdì scorso. Questa indagine di massa, condotta sotto l’inquietante ombrello della legge anti-terrorismo, rappresenta una preoccupante escalation all’interno di una cornice di già perspicuo deterioramento delle libertà fondamentali e del rispetto dei diritti.
Il neo-autoritarismo di Saïed
La dissoluzione del Parlamento è solo l’ultimo atto di una crisi politica iniziata nel luglio 2021. All’epoca Saïed, eletto tra gli auspici popolari nell’ottobre 2019, aveva annunciato la sospensione delle attività parlamentari, rimosso dal proprio incarico l’allora Primo Ministro Mechichi, assumendo su di sé l’autorità esecutiva e arrogandosi il diritto di legiferare per decreto. Le iniziative presidenziali che ne erano seguite (l’estensione dello stato di emergenza, l’assunzione di pieni poteri, l’annuncio della creazione di un nuovo governo) avevano tinto di colori ancor più cupi una già preoccupante situazione politica. Il processo di progressivo accentramento di poteri condotto da Saïed era stato, infine, coronato dalla decisione del febbraio 2022 di sciogliere il Consiglio Superiore della magistratura, realizzando così il controllo anche sul potere giudiziario.
Sebbene le iniziative di luglio fossero state accolte con un certo entusiasmo da una parte della popolazione, inizialmente galvanizzata dai proclami populisti di Saïed e ormai incattivita nei confronti di una classe politica giudicata inetta e corrotta, le ormai svelate tendenze autoritarie del Presidente – sempre più aggressivo nei toni e avverso a qualsiasi forma di dialogo o compromesso con le parti – hanno sollevato diverse voci critiche, anche tra coloro che originariamente ne sostennero il colpo di mano, in un clima di rinnovata tensione sociale e politica.
La crisi socio-economica e il populismo senza popolo
Quest’ultimo atto di imperio si iscrive non solo nell’incertezza di una traballante e ormai congelata transizione democratica ma anche in un contesto di urgente crisi economica. Dopo anni di crescita lenta, alti tassi di disoccupazione e inflazione, i tunisini faticano oggi ad accedere ai beni di prima necessità. Nella stretta morsa di un debito sempre più soffocante (il rapporto debito/PIL si aggira intorno all’80%) che fa presagire il rischio di un default nell’assenza di un intervento internazionale, il Paese deve far fronte ad enormi difficoltà sclerotizzate dall’emergenza Covid e dalle attuali vicende russo-ucraine.
La guerra ha, infatti, messo ulteriore pressione su un’economia già fragile innalzando i prezzi del grano e del petrolio al punto che, pochi giorni dopo l’inizio del mese di Ramadan, la Tunisia soffre di carenza di pane e altri alimenti essenziali. La drammatica situazione socio-economica tradisce la mancanza di una visione economica da parte di Saïed, bloccato nella difficile scelta tra un impopolare accordo con il FMI (inevitabilmente condizionato all’adozione di misure di austerity rispetto alle quali il potente sindacato UGTT ha già espresso la propria ferma opposizione, minacciando uno sciopero generale) e il tracollo economico con annesso rischio di una deflagrazione della rabbia sociale.
L’isolamento di Saïed è sempre più evidente, anche alla luce della bassa partecipazione popolare alla recente consultazione online da lui chiamata a gran voce in vista del referendum costituzionale che dovrebbe tenersi in estate (parte della roadmap indicata dal Presidente per condurre il Paese all’adozione di una nuova Costituzione e ad elezioni). Una popolarità in declino che disvela le forme di un “populismo senza popolo”, salito al potere nell’acclamata promessa di lotta alla corruzione ma ben presto mostratosi come moderna versione di un autoritarismo ben noto, che attinge ancora all’arsenale draconiano ereditato dalla dittatura di Ben Ali. Un populismo dall’alto, lontano da un popolo che, a distanza di 11 anni dallo scoppio della rivoluzione, si trova a fronteggiare una crisi senza precedenti in un contesto sociale polarizzato e segnato da malcontento, povertà e marginalizzazione.
Prospettive future e le ‘opache’ reazioni dell’Ue
La deriva autoritaria di Saïed, unita all’adozione di misure demagogiche (come la campagna anti-corruzione) che poco impattano sul benessere di gran parte della popolazione, rendendo, dunque, la questione sociale quanto mai irrisolta, rischia di isolarlo ancora di più politicamente, esponendolo al rischio di una violenta reazione sociale.
In tal senso, il ruolo di partner internazionali come l’Unione Europea risulta cruciale, nonostante le reazioni occidentali ai colpi di mano di Saïed siano rimaste per il momento piuttosto opache. Gli europei possono e devono, tuttavia, incoraggiare un ritorno al percorso di democratizzazione tracciato in passato, condizionando la propria cooperazione con il Paese a maggiori standard democratici nonché alla ripresa di un vero dialogo politico nazionale all’insegna dell’inclusività e della reale partecipazione di tutte le parti.
La politica interna rimane, tuttavia, il fulcro della crisi tunisina. In tal senso, sarà importante osservare l’impatto di medio e lungo termine del conflitto ucraino sul Paese e sullo stesso Saïed, la cui già vacillante legittimità potrebbe essere messa a dura prova dai rincari alimentari e da un generale malessere sociale. Un copione già visto?
Foto di copertina EPA/TUNISIAN PRESIDENCY PRESS SERVICE