Lo scorso 16 marzo la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza l’ordine del giorno 9/3491-A/35 che impegna il governo italiano “ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del PIL”, rinnovando così un impegno preso dai paesi Nato nel 2004 e reiterato nel 2014 al summit Nato di Newport in Galles.
Un’indagine prima della guerra in Ucraina
Sebbene approvato a larga maggioranza, questo ordine del giorno ha generato nel Movimento 5 stelle, nelle cui file molti non avevano partecipato alla votazione (53 in totale), una forte opposizione. Tanto da indurre Conte a paventare addirittura la crisi di governo, tranne poi far rientrare la minaccia, per effetto dell’accordo per spalmare su un periodo di tempo più lungo il temuto aumento.
Ma cosa ne pensavano gli italiani, prima della guerra ucraina, dell’impegno a portare le spese militari del nostro paese al 2% del Pil? E quanto diverse sono le reazioni tra gli elettori dei diversi partiti italiani?
Partiamo dalla prima domanda, e diciamo subito che, in generale, gli Italiani non sembrano particolarmente entusiasti dell’idea di onorare l’impegno del 2%. In un’indagine pan-Europea condotta da un pool di università europee, fra cui Siena, nel 2020 solo il 37% degli italiani dichiarava di essere d’accordo con l’affermazione secondo la quale “l’Italia deve garantire una spesa minima pari al 2% del PIL per l’esercito, un obiettivo previsto per tutti gli Stati membri della NATO”, a fronte di una media UE del 48%. E la stessa indagine, nel 2021, confermava questo risultato, con il 35% degli italiani d’accordo a garantire il raggiungimento dell’obiettivo 2%.
Un paragone con la spesa per la difesa dei paesi alleati
Un precedente articolo ha mostrato che gli italiani, a certe condizioni, possono cambiare idea e convincersi dell’opportunità di aumentare le spese militari per realizzare l’obiettivo Nato. Che effetto produce il riferimento esplicito all’obiettivo del 2% del PIL sul sostegno per le spese militari?
Nel 2017, l’indagine IAI-LAPS pose una domanda che esordiva con la frase:
“I capi di Stato e di governo dei 28 paesi della Nato hanno concordato che entro il 2024 ciascun membro debba destinare almeno il 2% del PIL alle spese militari. L’Italia spende oggi l’1,1% del PIL. Lei è favorevole o contrario a un aumento delle spese militari italiane?”
Tutti gli intervistati furono sottoposti a questo incipit, ma una metà del campione ricevette un’informazione aggiuntiva: l’ammontare di spesa media (come percentuale del Pil) dei paesi europei e degli Stati Uniti. Gli effetti dell’informazione furono modesti e nella direzione di un accresciuto sostegno alla spesa militare, passando i favorevoli dal 18% al 24% quando si inseriva l’informazione sulla spesa media europea e degli Stati Uniti.
Nel 2018 l’indagine IAI-LAPS pose una domanda simile, questa volta comparando l’effetto di un esplicito riferimento all’impegno Nato e alle spese di altri paesi occidentali con quello prodotto da una formulazione che non conteneva alcuna informazione al riguardo. In questo caso la percentuale di favorevoli all’aumento delle spese militari scende dal 45% al 36% degli intervistati quando si fornisce l’informazione sulle spese di altri paesi. Che ci sia qualcosa di sistematico in questo effetto è confermato dal fatto che nell’autunno del 2021 un’identica domanda produceva risultati analoghi: la percentuale di favorevoli scendeva dal 60% al 47% quando veniva fornita agli intervistati l’informazione sugli obiettivi NATO e sulla spesa degli altri paesi.
Cosa spiega questo effetto depressivo della domanda sul sostegno ad un aumento delle spese? La risposta è da rintracciare, con ogni probabilità, nel testo della domanda e in particolare nella comparazione che la domanda sollecita tra quanto spende l’Italia (in percentuale del PIL) e quanto spendono altri paesi. Quando, come nel 2017, la comparazione tra la spesa italiana e quella della media dei paesi europei rivela che l’Italia spende meno della media europea, allora una percentuale non elevata, ma significativa, di intervistati si sposta a favore dell’aumento della spesa. Quando invece la comparazione, come nel 2018 e di nuovo nel 2021, include paesi (segnatamente la Germania) che spendono grosso modo come noi, se non meno, allora numerosi italiani sembrano concludere che non spendiamo poi così poco, e diminuisce il numero di favorevoli all’aumento delle spese militari.
Le opinioni dell’elettorato dei maggiori partiti
Accanto a queste differenze che attengono al cosiddetto framing della domanda, vi sono poi quelle di natura politico-ideologica, tra destra e sinistra, tradizionalmente divise sul punto delle spese militari. La Figura 1 illustra le percentuali di favorevoli ad un aumento delle spese militari nell’elettorato dei principali partiti politici italiani, come emergono dall’ indagine IAI-LAPS del 2021. Pur dovendo interpretare con cautela la precisione delle percentuali, che in alcuni casi possono risentire del ridotto numero di casi, ciò che è interessante è l’andamento mostrato dalla figura.
In linea con le posizioni ideologiche tradizionalmente assunte dai partiti italiani, tra le forze di Centro-destra, nel 2021 (e presumibilmente anche adesso) si trova una solida maggioranza dell’elettorato (che raggiunge il 73% tra gli elettori di Forza Italia informati e scende al 60% tra quelli della Lega) favorevole a un aumento delle spese militari. Diversamente, gli elettorati del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle appaiono nettamente divisi al loro interno, con la metà degli elettori del PD e il 55% di quelli M5S favorevoli a un aumento delle spese militari e l’altra metà contraria, anche in presenza di un quadro informativo più ampio.
In conclusione, l’elettorato italiano appare diviso sul tema dell’aumento delle spese militari per rispettare l’impegno Nato. L’elettorato di Centro-destra è in maggioranza favorevole ad un aumento del bilancio della difesa, mentre quello di Centro-sinistra è spaccato. E l’elettorato è sensibile al tipo di comparazione fatta tra noi e i nostri alleati. La strada per acquisire il sostegno dell’opinione pubblica italiana nella realizzazione dell’obiettivo del 2% del Pil si presenta quindi per il governo Draghi in salita. Se, e in che misura, la guerra in Ucraina cambierà questa situazione sarà oggetto di una prossima analisi nel sondaggio IAI-LAPS 2022, atteso per settembre.
Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI