Viktor Orbán si è confermato nel suo ruolo di premier dopo aver vinto di nuovo le elezioni politiche malgrado per la prima volta, dal suo ritorno al potere, avesse di fronte un’opposizione unita a livello nazionale in un fronte, “Uniti per l’Ungheria”, caratterizzato dalla compresenza di diverse tendenze politiche.
Il tema della guerra in Ucraina
Uno dei temi della campagna elettorale del leader ungherese è stato quello della guerra in Ucraina. Orbán ha infatti alimentato la paura del conflitto nei suoi connazionali e si è proposto come “uomo della pace”, ma anche, se non soprattutto, come unico uomo in grado di tenere il paese lontano da questa guerra. Così, nelle ultime settimane, è arrivato a rompere la compattezza del Gruppo di Visegrád (V4) prendendo delle decisioni impopolari agli occhi delle istituzioni di cui l’Ungheria fa parte (Ue e Nato). Già prima ancora dell’intervento armato russo in Ucraina l’Ungheria era stato l’unico paese dell’Europa centro-orientale a respingere l’idea dell’invio di truppe atlantiche proposta da Biden, preferendo una soluzione diplomatica che contrastasse la prospettiva di una nuova Guerra fredda. Sono poi noti i buoni rapporti tra Orbán e Putin e il legame tra i due paesi in termini di approvvigionamento energetico.
Immediatamente dopo i recenti vertici Ue e Nato svoltisi a Bruxelles, il governo di Budapest aveva chiarito l’indisponibilità a dar seguito alle richieste del presidente Zelensky relative all’invio di armi in Ucraina e a sanzioni in ambito energetico nei confronti di Mosca. Intervenendo in collegamento video, il medesimo si era a un certo punto rivolto direttamente alla delegazione ungherese per sollecitare la partecipazione di Budapest ad iniziative a sostegno della resistenza ucraina, ma senza ottenere nulla. Per Orbán è comprensibile che Zelensky cerchi di tutelare gli interessi del suo paese, ma è altrettanto comprensibile, a suo giudizio, che le autorità di Budapest tutelino gli interessi ungheresi e che si impegnino per evitare che il paese venga fagocitato in questa guerra. Secondo il primo ministro, la Nato deve fare di tutto per impedire che il conflitto si espanda oltre i confini ucraini.
Budapest non troppo a Occidente
Al contrario del blocco di opposizione che vuole un’Ungheria solidale con l’Occidente e disposta a collaborare con Ue e Nato per aiutare l’Ucraina, Orbán intende fare del suo meglio per tenere Budapest fuori dalla guerra. Non mancano gli attacchi di Zelensky che accusa il primo ministro ungherese di mancare di onestà e di essersi scelto un ruolo impopolare essendo l’ “unico in Europa a sostenere apertamente Putin”. Ma forse queste osservazioni, che si sono aggiunte a quelle da lui fatte dopo i vertici prima menzionati, sono state controproducenti nel senso che hanno contribuito al senso di timore degli elettori ungheresi, già peraltro ampiamente incoraggiato dalla propaganda governativa. Propaganda che accusava l’opposizione di voler portare l’Ungheria in guerra autorizzando il passaggio di armi in Ucraina attraverso il territorio ungherese.
Le autorità di Budapest tengono a ricordare di aver già condannato l’intervento russo e di temere per l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma hanno chiarito di non voler permettere che siano gli ungheresi “a pagare il prezzo di questa guerra”. Con tale scelta, si diceva, le autorità danubiane hanno intrapreso un percorso divergente da quello degli altri membri del V4. Tra l’altro non si parla di Ungheria quando ci si riferisce ai paesi che nel frangente di questa drammatica crisi hanno diffuso un comunicato congiunto a sostegno della richiesta ufficiale firmata dal presidente Zelensky di ammettere l’Ucraina nell’Unione Europea; tra essi la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia.
L’Ungheria e le differenze con la Polonia
Da anni coeso su diversi aspetti riguardanti i rapporti con Bruxelles e la difesa degli interessi nazionali, il V4, che non ha comunque carattere monolitico, mostra in questo caso le differenze di vedute sul piano dei rapporti con Mosca e di posizione di fronte alla guerra in corso in Ucraina. Ungheria e Polonia sono legate da un’amicizia storica, i loro due governi si sono assunti il compito di sostenersi a vicenda nel confronto con Bruxelles a maggior ragione viste le minacce di ricorso all’Articolo 7 per punire politiche considerate offensive dello Stato di diritto. Non convergono, però, sull’approccio verso Mosca; da questo punto di vista c’è da considerare l’inquietudine polacca – avente anch’essa profonde radici storiche – nella sua percezione del gigante vicino.
In Ungheria l’85% delle forniture di gas per il riscaldamento viene dalla Russia, la stessa cosa vale per il 64% delle importazioni di petrolio. La Repubblica Ceca, invece, non vuole né il gas né il petrolio russi. Negli anni scorsi c’è stato qualche incidente diplomatico tra Praga e Mosca – per quanto il presidente Zeman mostrasse apertamente un certo apprezzamento verso Putin e l’ex premier Babiš non palesasse chiare posizioni anti-russe – e tra Bratislava e Mosca. Cose di questo genere non sono accadute nei rapporti ungaro-russi da quando Orbán è al potere. Il premier ungherese ha anzi più volte levato la voce contro le richieste di sanzioni contro la Russia e affermato che ormai i sentimenti antirussi sono diventati di moda.
L’anno scorso l’Ungheria era risultata assente dalla lista degli stati membri dell’Ue firmatari di una dichiarazione congiunta concepita per chiedere a Mosca il rilascio di Aleksej Naval’nyj e di un certo numero di dimostranti contrari al sistema di Putin. Ora non è un caso che il capo del Cremlino si sia congratulato con Orbán per la vittoria del Fidesz con un telegramma rivolto direttamente al premier ungherese. Nel suo messaggio ha espresso la fiducia che “lo sviluppo della partnership risponda totalmente agli interessi dei popoli russo e ungherese”.
Foto di copertina EPA/Fischer Zoltan