Pubblichiamo dei passaggi della rassegna stampa settimanale sull’Africa, curata da Jean-Léonard Touadi per RadioRadicale. È possibile ascoltare il podcast dal sito dell’emittente. Clicca qui per ascoltare
Focus principale di questa rassegna africana del 19 marzo resta l’analisi degli impatti della guerra tra Russia e Ucraina sull’Africa e l’espansionismo russo nel continente. In aggiunta a ciò, qualche approfondimento sul gas algerino e sul recente riavvicinamento tra Marocco e Spagna.
Ricadute economiche africane
“Lontana da Kyiv, l’Africa si trova alle prese con le ricadute economiche causate dalla guerra in Ucraina. Dalla Nigeria al Malawi, gli africani stanno sentendo l’impatto della crisi ucraina con aumenti stravolgenti del prezzo del carburante, del grano e dei fertilizzanti. I prezzi globali del petrolio hanno raggiunto i massimi decennali di oltre 100 dollari al barile poco dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio, infliggendo un duro colpo a molte imprese a sud del Sahara”, scrive l’Agence France Presse in una corrispondenza da Lagos.
Si aggiunge inoltre che “l’invasione dell’Ucraina potrebbe porre pesanti difficoltà alle famiglie africane, al settore agricolo e alla sicurezza alimentare, soprattutto in Etiopia, dove 20 milioni di persone, dapprima toccate dalla siccità e dal conflitto, adesso hanno sempre di più bisogno di aiuti alimentari, e in Kenya, paese che importa abitualmente un quinto dei suoi cereali dalla Russia e un altro 10% dall’Ucraina. In Uganda, il prezzo del sapone, dello zucchero e dell’olio e del carburante sono saliti vertiginosamente. Preoccupata per l’inflazione alimentata dalla guerra in Ucraina, la Banca centrale della Repubblica di Mauritius ha aumentato il suo tasso di interesse al due percento. Nel Malawi invece, i prezzi del pane e dell’olio sono aumentati del 50%”.
L’Africa e l’espansionismo russo
Su questo, degno di nota è l’articolo di Rocco Bellantone per Nigrizia, secondo cui “centodue sacerdoti in servizio in otto paesi africani sono passati dal patriarcato greco-ortodosso di Alessandria a quello russo. Con una sola mossa, l’artefice di questa manovra, il patriarca di Mosca Kirill I, ha centrato due obiettivi: ha scippato sostegno internazionale alla Chiesa autocefala di Ucraina, frutto dello scisma ortodosso del 2018 (innescato nel 2014 dall’occupazione russa della Crimea) e riconosciuta dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartomoleo I; e ha assestato un duro colpo all’autorevolezza in Africa del patriarca di Alessandria, Tawadros II, che nell’agosto scorso, sull’isola turca d’Imbros, aveva teso la mano al metropolita autocefalo di Kiev Epiphany, segnando il definitivo punto di rottura con la Chiesa russa, già maturato nel 2019.”
Oltre a questi aspetti religiosi, impiegati da Mosca per consolidare sempre di più la sua influenza nel continente africano, The Voice of America spiega che “almeno dal 2007 la Russia ha esteso il suo coinvolgimento militare ed economico in Africa. La diffusione dell’estremismo islamico militante e di altre violenze in Africa ha creato più aperture per il coinvolgimento militare russo. Ad esempio, cinque nazioni nella volatile regione del Sahel – Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger – hanno sollecitato il sostegno militare di Mosca nel 2018. I combattenti russi sono stati impegnati anche in Mozambico e Angola”.
La dichiarazione di Maxim Matusevich, docente di storia che dirige gli studi russi dell’Università Seton Hall nel New Jersey, riportata nell’articolo di The Voice of America, afferma che “la Russia fornisce, come l’Unione Sovietica prima, una visione alternativa per le nazioni africane basata su una comune critica anti-occidentale”. In questo contesto di espansionismo russo in Africa, la Francia sta invece perdendo le sue sfere d’influenza nel continente e, come scrive L’Observateur Paalga di Ougadougou “in nove anni di presenza militare francese in Mali, Parigi ha pagato caro il suo debito di sangue con la perdita di 53 soldati e un conto giornaliero di 1 miliardo di franchi CFA (1,5 milioni di euro), per non parlare delle attrezzature distrutte”.
Gas algerino e crisi diplomatiche con il Marocco
Un approfondimento di Nigrizia si chiede come stia cambiando la politica energetica dopo l’invasione russa in Ucraina, e prende il caso dell’Algeria, paese tra i maggiori produttori di gas in Africa. “Oggi che il prezzo del gas è alle stelle e che l’Europa ne ha un estremo bisogno, nel paese nordafricano c’è chi si pente di aver chiuso l’infrastruttura che collegava i giacimenti algerini al Vecchio continente attraverso il regno marocchino. Una scelta fatta per punire il vicino nemico ma il rischio ora è che i grandi investitori stranieri puntino sulla vicina Libia”.
L’infrastruttura di cui parla l’introduzione dell’articolo di Nigrizia è il Maghreb-Europe Gas Pipeline (MEG). “Il MEG è un gasdotto lungo 1.400 km che trasportava oltre 10 miliardi di metri cubi all’anno dal giacimento di Hassi R’Mel, in Algeria, fino a Cordoba nell’Andalusia spagnola, passando per il Marocco. Rabat, per ospitarlo, riceveva il 7% delle royalties sul gas trasportato dall’infrastruttura, guadagnando cifre oscillate, nel corso degli anni, dai 500 milioni ai 2,4 miliardi di dirham (dai 47 milioni di euro ai 225 milioni). Inaugurato nel 1996, il Meg copriva circa il 30% del fabbisogno annuale di gas di Spagna e Portogallo. Oggi è stato sostituito da Medgaz, di proprietà dell’algerina Sonatrach al 51%, che si è impegnato a risarcire la penisola iberica, aumentando le sue capacità e le esportazioni di gas naturale liquefatto via mare. Algeri, accecata dalla sua logica anti-marocchina, scopre oggi che sta perdendo delle opportunità per guadagnare più soldi e stabilire economicamente il suo potere regionale”.
A proposito di Marocco la settimana è stata interessata anche dal riavvicinamento di Marocco e Spagna, dopo la crisi diplomatica riguardante la questione del Sahara occidentale. El País si commenta questa riconciliazione tra i due regni, grazie alla cui “Rabat considera la crisi chiusa dopo che Sánchez ha descritto la proposta d’autonomia del Marocco come il modo ‘più serio, realistico e credibile’ per risolvere il conflitto”.
Jean-Léonard Touadi è funzionario FAO, docente di geografia dello sviluppo in Africa, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Foto di copertina EPA/HADAMA DIAKITE