Ha fatto scalpore, negli ultimi giorni, la pubblicazione online da parte dell’agenzia di stampa russa RIA Novosti di un articolo, poi rapidamente cancellato, in cui si celebrava il superamento della “questione ucraina” e la nascita di un “nuovo mondo” in seguito all’attacco russo su Kyiv. L’articolo, a firma di Petr Akopov, annunciava con toni trionfalistici l’emergere di un nuovo assetto geopolitico globale, caratterizzato dalla fine della “dominazione occidentale globale” e dal ritorno della Russia al suo “posto e spazio storico nel mondo”. Secondo alcuni commentatori, questo articolo indicherebbe un “cambio di tono” nella retorica russa riguardo al conflitto in Ucraina.
“Sull’unità storica di russi e ucraini”
In realtà, buona parte di quanto contenuto nel testo era già stato espresso di proprio pugno dal Presidente russo Vladimir Putin nel suo articolo “Sull’unità storica di russi e ucraini”. Questo testo, la cui versione ufficiale in inglese è lunga quasi 7000 parole, era stato pubblicato nel luglio 2021, a poca distanza da una fase di forte tensione tra Mosca e Kyiv a causa di un primo dispiegamento di truppe ed armamenti russi sul confine tra i due paesi. Nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe trattarsi di un saggio “basato su fatti, eventi e documenti storici” volto a dimostrare che russi e ucraini sono “un solo popolo”.
Da un punto di vista storiografico questo testo, che copre in poche pagine oltre mille anni di storia – dal nono secolo dopo Cristo sino al maggio 2021 – non ha alcun valore: si tratta di una ricostruzione altamente selettiva e ideologica della storia russa, funzionale a sostenere le azioni del Presidente russo. Piuttosto, è interessante analizzarlo come fonte in grado di dirci qualcosa sulla visione attuale di Putin e del gruppo dirigente che si raccoglie attorno a lui.
L’articolo ricorda in modo singolare una certa pubblicistica nazionalista di fine ‘800 – inizio ‘900, fondata sulla ricerca in un mitico passato medievale di presunte radici delle nazioni moderne – una tappa ulteriore nella deriva in senso se non etnonazionalista, quanto meno etnoculturalista della retorica di Putin in atto già da alcuni anni. Secondo Putin, infatti, russi, bielorussi e ucraini formerebbero una “nazione trina” unita da “legami spirituali, umani e di civiltà” che avrebbero “origini nelle stesse fonti”. Al contempo, dal testo traspare una chiara nostalgia per il passato della “Russia storica”, che Putin sembra far coincidere a seconda dei casi e della convenienza con la Russia imperiale o sovietica.
Concretamente, questa lettura del passato si lega a un riconoscimento della sovranità ucraina meramente formale. Infatti, a detta di Putin, “la vera sovranità dell’Ucraina è possibile solo in partnership con la Russia”. Inoltre, i confini dell’Ucraina andrebbero rivisti: qui il revisionismo di Putin si spinge oltre i confini di Donbass e Crimea, sostenendo che i confini delle repubbliche ex sovietiche dovrebbero essere quelli che avevano prima di entrare a far parte dell’Urss. Nel caso specifico dell’Ucraina, viene citata tra le altre l’annessione della Rutenia subcarpatica (precedentemente parte della Cecoslovacchia) nel 1945.
Putin e la critica al passato bolscevico
Dall’articolo di Putin emerge una forte critica nei confronti del passato sovietico (con l’eccezione della “Grande Guerra Patriottica” – cioè della partecipazione sovietica nella Seconda guerra mondiale) e bolscevico specialmente. Con i loro “esperimenti sociali” rivoluzionari, i bolscevichi avrebbero finito per “tagliare il paese a pezzi”, facendo sì che la Russia venisse “derubata”.
La critica alla dirigenza bolscevica, e a Lenin in particolare, ritorna con forza anche nel Discorso presidenziale del 21 febbraio, in cui Putin annunciava di voler riconoscere l’indipendenza e la sovranità delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. A detta di Putin, il peccato originale sarebbe stato l’inserimento di uno “slogan sul diritto all’autodeterminazione delle nazioni (…) nelle fondamenta dello stato sovietico”. Questo e numerosi altri errori da parte della dirigenza sovietica nel corso dei decenni avrebbero portato “al collasso della Russia storica conosciuta come URSS” (enfasi dell’autore).
Di fatto, il linguaggio di Putin segna una presa di distanza netta dal passato sovietico, e bolscevico in particolare. La retorica che viene proposta, centrata sulla difesa degli “interessi nazionali” russi, appare molto distante dalla propaganda sovietica, che (a parole) si riallacciava sempre a una prospettiva di progresso collettivo. È significativo che nel suo discorso del 21 febbraio, Putin parli di “futuro” solo con riferimento a errori commessi nel passato sovietico o a una possibile minaccia NATO.
L’abbraccio imperiale della Russia di Putin
Nel complesso, quella del Presidente russo sembra una visione geopolitica assai semplicistica intrecciata a una lettura di comodo del passato, secondo cui la ‘Madrepatria’ russa finirebbe per comprendere in un abbraccio imperiale una varietà di popoli e di territori sulla base di pretese storiche e identitarie assai dubbie. La facilità con cui è possibile inventare e rimodellare questo genere di pretese è pari alla facilità con cui le stesse possono tradursi in tensioni e conflitti tra gli stati e all’interno degli stessi. Come ebbe a dire Eric J. Hobsbawm, il compito degli storici dovrebbe essere proprio quello di “oppor[si] alla formazione dei miti nazionali, etnici e di altro tipo mentre essi si stanno formando”.
Per poter riprendere un dialogo con Mosca quando verrà il momento, sarà indispensabile far sì che Putin la smetta di dilettarsi con letture fantasiose e ideologiche di un passato distante secoli, per confrontarsi con la realtà internazionale di oggi: manifestando pieno rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale degli stati secondo il diritto internazionale, riconoscendo la possibilità di una coesistenza pacifica tra le comunità all’interno degli stessi e abbandonando la retorica tossica delle (presunte) ‘questioni nazionali’. Allo stesso tempo, sarà fondamentale far sì che la Russia possa tornare a vedere un futuro davanti a sé, in cui possa ritrovare un ruolo e una collocazione all’interno della comunità internazionale.
Foto di copertina EPA/ANATOLY MALTSEV