Alle Olimpiadi invernali di Pechino attualmente in corso le due squadre coreane non hanno sfilato insieme come avevano fatto in precedenti occasioni olimpiche. Il motivo è che la Corea del Nord non ha partecipato affatto a queste olimpiadi perché squalificata dal Comitato Olimpico Internazionale per aver boicottato i giochi di Tokyo 2020. Ma anche se il Nord vi avesse partecipato, è poco probabile che una sfilata comune avrebbe avuto luogo a Pechino.
Il disgelo può passare solo dagli Usa
Dopo l’euforia del dialogo avviato cinque anni fa dall’attuale presidente sudcoreano Moon Jae-in si è tornati al confronto che vige da ormai 70 anni. A nulla hanno portato i tre incontri che Donald Trump aveva orchestrato con il leader nordcoreano Kim Jong-un. La rigidità di quest’ultimo e la maldestra gestione del negoziato da parte di Trump e dei suoi collaboratori hanno condotto a questo fiasco.
Poiché una riconciliazione tra Nord e Sud può solo avvenire in parallelo con un disgelo tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti, il fallimento dell’allora presidente americano ha travolto anche le promettenti prospettive di una riconciliazione inter-coreana che aveva condotto a partire dal 2017 a risultati importanti sul piano politico, economico e militare. Nonostante la crescente priorità che Washington dedica al continente asiatico, l’amministrazione Biden, pur avendo rilanciato la sua politica verso il Nord nell’aprile scorso e ricercato nuove forme di dialogo, non ha ancora dato alla questione coreana l’impulso che ci si poteva attendere. È difficile che lo faccia ora in concomitanza con la crisi ucraina.
Il diplomatico americano di origine coreana Sung Yong Kim è stato nominato Inviato Speciale di Washington per la Corea del Nord ma per oltre un anno una sede vitale per la diplomazia Usa quale quella di Seoul è rimasta scoperta. Il titolare è stato nominato solo l’11 febbraio scorso: si tratta dell’ambasciatore di carriera Philip Goldberg. Dal canto suo la Corea del Nord si sta allontanando progressivamente dagli impegni adottati sia con Washington sia con Seoul. Nelle ultime settimane ha ripreso i test missilistici proibiti dall’Onu mentre gli Usa mantengono in piedi ed inaspriscono le sanzioni. Le posizioni si allontanano anziché avvicinarsi. L’analogia con quanto avviene con l’Iran è evidente.
Il mandato del presidente della Corea del sud è ormai vicino alla scadenza. Il 9 marzo prossimo si terranno le elezioni presidenziali. È triste notare che la forte apertura di Moon Jae-in nei confronti del Nord sia stata vana e che si ritorni al clima di guerra fredda del passato. Il suo mandato non è rinnovabile ed è possibile che torni al potere l’opposizione conservatrice, tradizionalmente più ostile verso il Nord e che mantiene nelle sue file chi auspicherebbe che il Sud, analogamente a quanto fatto dal Nord, si dotasse dell’arma nucleare. Sarebbe questo un ulteriore vulnus al Trattato di Non Proliferazione nucleare che sinora è riuscito a contenere il numero dei paesi che si sono dotati dell’arma atomica.
Europa: un ruolo politico marginale
L’Europa non è un protagonista nel continente asiatico ma essa ha sviluppato con l’intera area del Nord-Est dell’Asia rapporti economici industriali e culturali importantissimi. Non è il momento per rilanciarsi nell’East Asia quando una crisi senza precedenti è in atto nel vecchio Continente. Però da oltre dieci anni l’Unione Europea ha avviato una Partnership Strategica con la Corea del Sud ed altrettanto ha fatto l’Italia a livello bilaterale. A questo rapporto privilegiato con il Sud si aggiunge una relazione corretta anche con il Nord. Seguendo l’esempio italiano del 2000 quasi tutti i paesi membri dell’UE allacciarono rapporti diplomatici con Pyongyang. Al momento opportuno occorrerà dare un’effettiva sostanza strategica a questa partnership.
Foto di copertina EPA/PYONGYANG PRESS CORPS