Il gas in Italia è al centro di confuse manovre. Alcuni lo demonizzano in sintonia con la svolta europea verde; altri lo difendono e ricordano che la possibilità di estrarlo in zone di mare italiane è a portata di mano. Il nostro Paese, conscio della criticità dell’aumento dei prezzi dell’energia, pare incerto: lo scenario dell’approvvigionamento dall’estero cambia di continuo e passa da EastMed all’alternativa del gas liquefatto (Gnl).
Una riflessione si impone sull’uso delle risorse sottomarine cui nessun Paese, nemmeno la virtuosa Norvegia, intende rinunciare fino a che la transizione ecologica giunga a termine. Oltretutto l’Ue continua a puntare, per affrancarsi dalla dipendenza russa, su quella Energy Security dei Paesi mediterranei che postula una politica di diversificazione delle fonti.
Gasdotti, gasiere, cavi elettrici
Gli interessi geopolitici di Grecia e Cipro ad ampie Zone economiche esclusive (Zee) sono alla base delle controversie con la Turchia per le risorse del Mediterraneo Orientale. A questo è correlato il problema del come esportare in Europa il metano estratto nel Mar di Levante, tra Cipro, Egitto e Israele.
Il progetto EastMed – su cui l’Italia è stata a lungo scettica puntando sul gas del TAP – è in stallo. Il tracciato ipotizzato ricade sulla ZEE greco-cipriota, ma in parte interessa anche aree pretese dalla Turchia: perciò Ankara ha intimato la cessazione dei rilievi in mare in assenza di sua autorizzazione.
Un segnale da interpretare è la posizione degli Stati Uniti che, pur propensi a creare infrastrutture energetiche tra il Levante e l’Europa in funzione anti-russa, sembrano ora puntare su l’interconnessione elettrica tra Egitto e Creta. Persistendo le resistenze turche a EastMed, si pensa sarebbe forse meglio posare sulla ZEE greco-egiziana cavi che portino a Creta elettricità prodotta con gas di Egitto ed Israele.
Anche l’Ue sembra scettica sul gasdotto, giudicandolo un’infrastruttura troppo complessa ed impegnativa rispetto agli obiettivi futuri di riduzione del fossile. Il nostro Paese guarda inoltre con favore al il gas egiziano liquefatto a Damietta da trasportare con metaniere, oltre quello del Qatar che già arriva al rigassificatore di Rovigo.
Giacimenti offshore
Ai cospicui quantitativi che ci giungono da Algeria, Libia e Azerbaijan con i gasdotti e al flusso sempre maggiore di Gnl, si potrebbe aggiungere la produzione nazionale offshore i cui prezzi sono nettamente inferiori a quelli esteri.
Una sorta di tabù impedisce in Italia di pronunciare la parola trivellazioni, soprattutto se in mare. Dopo la moratoria stabilita per legge, l’attività estrattiva in mare si è ridotta a livelli molto bassi, anche in aree di piattaforma continentale dove, sul versante opposto, si raggiungono buoni livelli di produzione. È ben noto, in Adriatico, il caso della Croazia che si avvantaggia della nostra inerzia.
Perché non applicare, allora, l’art. 2 dell’Accordo Italo-Iugoslavo del 1968 che ipotizza intese dedicate allo sfruttamento congiunto di giacimenti “a cavallo”? Oltretutto, rinunciare alle risorse sottomarine patrimonio dello Stato potrebbe configurare un danno per l’erario e per i cittadini.
Il gas e la centralità del mare
Il mare che circonda l’Italia è ora più che mai al centro della scena e merita, anche dal punto di vista energetico, uno sguardo meno distratto. La decarbonizzazione per evitare i cambiamenti climatici è un obiettivo incontestabile. Nel frattempo, il Paese non può ignorare né il metano presente in aree ben conosciute dei nostri fondali, né l’importanza di disporre di una flotta di navi gasiere di bandiera che garantiscano il flusso continuo dei rifornimenti di Gnl.
Oltretutto, nel mare si gioca anche la partita delle rinnovabili destinate a sostituire il gas nella produzione elettrica, quando nella nostra ZEE si svilupperanno impianti eolici al largo delle coste di adeguata potenza.
Garantirsi la ridondanza delle fonti energetiche – come evidenziato dal Copasir – è in ultima analisi questione di sicurezza nazionale, oltre che socioeconomica, cui l’Italia non può rinunciare secondo una strategia di diversificazione che l’Ue non può che approvare.
Foto di copertina EPA/JOHN RANDERIS DENMARK OUT