Che il sistema internazionale sia entrato in una nuova fase di trasformazione geopolitica è evidente almeno dal 2008, da quando gli eventi entropici ed i cambiamenti significativi hanno iniziato a succedersi piuttosto compulsivamente.
Dopo la Guerra Fredda
La trasformazione incompiuta del sistema della sicurezza internazionale dopo il 1989 ha finito per alterare anche il mondo delle relazioni economiche globali, ridando ai concetti della coercizione economica e della dipendenza un nuovo significato strategico ed un nuovo posto nella diplomazia e nelle relazioni internazionali. Oggi assistiamo a un importante processo di ripensamento dei flussi economici internazionali riletti sulla base dei loro effetti politico strategici e del loro potenziale di coercizione. Un processo che comporta una ridefinizione del rapporto tra Stato e mercato ed un ampliamento della grammatica dei rapporti tra gli Stati.
A trent’anni dalla fine della Guerra Fredda è ormai chiaro che non è stato creato un nuovo sistema internazionale ma, alla destrutturazione del vecchio ha fatto seguito una fase di rinnovata competizione tra gli Stati, che ha invertito i paradigmi e le speranze che erano emerse dopo la fine della Seconda guerra mondiale e soprattutto dopo il 1989. La globalizzazione dell’economia e del sistema liberal-democratico degli anni Novanta non è riuscita a mutare le grandi costanti della storia, né ad appianare le differenze geopolitiche nel nome di una crescita condivisa. Allontanatasi la piacevole speranza di un mondo piatto, che appariva all’orizzonte della fine della storia, ci troviamo oggi in un sistema internazionale che si sta riorganizzando attorno all’asse principale della competizione tra Cina ed Usa per la supremazia globale.
Le sanzioni come modello per il sistema internazionale
La coercizione economica è una strategia e una politica di restrizione o di controllo dei flussi economici internazionali che ha come obiettivo quello di modificare la volontà di un soggetto avversario alterando il rapporto costi/benefici di una sua scelta politica e costringendolo a scegliere tra cambiare il corso delle proprie azioni o sostenere un costo economico.
Schematicamente la coercizione economica vede uno Stato sender che restringe o blocca i rapporti economici verso un altro Stato target (o sue entità). Ma la coercizione economica funziona in quanto impone alle imprese dello stesso Paese sender i costi della conformità giuridica e organizzativa verso il sistema di restrizioni creato. Questa è la dimensione interna della coercizione economica, che restringe gli spazi di libertà degli operatori economici per finalità di sicurezza nazionale o interesse nazionale.
Presupposti e paradossi delle coercizioni
Il presupposto di queste limitazioni è da ricercarsi nella presenza di minacce globali non gestibili con gli strumenti convenzionali e non contenute dal sistema multilaterale e dal diritto internazionale. Il paradosso, invece, è che il ritorno delle grandi sfide strategiche e delle minacce internazionali avviene all’interno del sistema economico della globalizzazione, ossia di una rete di interdipendenze dei fattori di produzione e dei mercati da cui tutti i Paesi traggono notevoli benefici e da cui per tutti è difficile uscire senza pagare costi elevati. Il sistema economico integrato globale al tempo stesso alimenta la corsa per la competizione strategica, rappresenta il presupposto per il funzionamento delle restrizioni economiche e ne costituisce anche un oggettivo limite.
Non è dunque affatto sorprendente che nel mondo di oggi – profondamente segnato dai fenomeni del ritorno della competizione interstatuale, dalla smisurata interdipendenza economica globale, dalla crescente instabilità delle aree a bassa governance, e dai ritorni decrescenti nell’uso della forza cinetica tradizionale – si dis aperto un processo di progressiva estensione della competizione strategica ad altri domini non cinetici, ed in particolare a quello dell’economia che li interseca tutti.
La riscoperta del principio della forza economica degli Stati, dell’economic statecraft, ha riguardato prevalentemente il mondo delle democrazie, visto che i sistemi liberal-democratici si erano a lungo fatti paladini di una drastica separazione delle forze dell’economia da quelle dello Stato, disgiungendo la logica strategica da quella di mercato. Nei circa quindici anni che vanno dal 2001 al 2015, con l’avvio della lotta finanziaria al terrorismo internazionale, le sanzioni all’Iran per la proliferazione nucleare (2012-2015) e quelle alla Russia per il conflitto in Ucraina (2014) gli Stati Uniti d’America hanno progressivamente riscoperto ed in maniera crescente praticato la dimensione della coercizione economica come strumento intermedio tra la diplomazia e la forza militare, ampliando significativamente la curva complessiva dell’uso della forza.
La trasformazione delle sanzioni economiche nel nuovo contesto internazionale
Nello scorso decennio abbiamo assistito al progressivo recupero dei vecchi strumenti delle sanzioni economiche – applicate con scarsi risultati – come strumento di forza non cinetica per reagire alle sfide di sicurezza asimmetriche di cui il mondo contemporaneo abbonda. La finanziarizzazione dell’economia e la sua crescente digitalizzazione assieme alla costruzione di sistemi sanzionatori sempre più specializzati e mirati basati sui meccanismi giuridici delle liste di controllo, hanno reso possibile di uscire dalla trappola degli embarghi di ampia portata, dagli scarsi effetti politici e dagli alti costi umanitari. Nell’arco di pochi anni le restrizioni economiche sono diventate uno degli strumenti centrali della diplomazia dei conflitti tra Stati, al punto che possiamo constatare che oggi non c’è crisi internazionale senza l’impiego di sanzioni e restrizioni.