22 Dicembre 2024

Gli houthi e il rompicapo degli Stati Uniti nel Mar Rosso

Gli attacchi marittimi degli houthi dallo Yemen, iniziati nel 2016 e intensificatisi con la guerra Israele-Hamas, sono diventati un problema di sicurezza globale. Un problema, però, che rischia di danneggiare innanzitutto gli obiettivi degli Stati Uniti: stabilizzazione mediorientale e contenimento della Cina. Il Mar Rosso, che congiunge l’Oceano Indiano al Mediterraneo, è decisivo per gli equilibri energetici e commerciali mondiali: tutte le potenze –tranne l’Iran, che sostiene e arma gli houthi- hanno dunque interesse alla stabilità del quadrante.

Eppure solo gli Stati Uniti –che nel Mar Rosso hanno rafforzato la presenza militare già prima del 7 ottobre – rischiano qui il logoramento strategico: la deterrenza di Washington si è finora rivelata insufficiente. Infatti, gli houthi continuano a lanciare attacchi “in solidarietà a Gaza” verso il territorio d’Israele e contro obiettivi commerciali e militari in navigazione. E nessuna risposta militare USA è seguita, neppure quando navi militari statunitensi si sono trovate nel mezzo, intercettando i droni lanciati dallo Yemen.

Attacchi e sequestri

Gli attacchi sono in crescita per numero e complessità. Secondo il Comando Centrale USA (Centcom), gli houthi hanno sferrato il 3 dicembre scorso quattro attacchi contro navi commerciali, nelle acque internazionali del Mar Rosso, stavolta a un passo dal Bab el-Mandeb. Il cacciatorpediniere USS Carney che pattugliava l’area ha risposto alle richieste di soccorso delle navi abbattendo tre droni: “non è chiaro” se essi fossero indirizzati contro la nave USA . L’attacco multiplo è durato ore e ha coinvolto quattordici paesi considerando proprietà delle imbarcazioni, merce trasportata e bandiera. Gli houthi hanno rivendicato l’attacco “contro due navi israeliane”, ma solo una di esse avrebbe un legame con un cittadino israeliano.

Dal 19 novembre scorso, gli houthi hanno sequestrato il cargo “Galaxy  Leader”, di proprietà di un uomo d’affari israeliano: la nave è ora trattenuta al porto di Hodeida (città controllata dagli houthi) insieme ai venticinque uomini dell’equipaggio. Nel 2022, gli houthi sequestrarono per quattro mesi una nave cargo degli Emirati Arabi Uniti, “Rawabi” sempre nel Mar Rosso meridionale, con undici uomini d’equipaggio. La nave, partita dall’isola yemenita di Socotra e diretta in Arabia Saudita, trasportava secondo Abu Dhabi un ospedale da campo.

Houthi: insorti e pirati, non proxy

Dopo l’avvio dell’offensiva di Israele contro Hamas, gli houthi hanno aperto il fronte del Mar Rosso: missili e droni verso Israele, più attacchi marittimi ´a tutto campo`. Così, il movimento-milizia sciita zaidita del nord dello Yemen persegue due obiettivi: cavalcare il sentimento pro-palestinese degli yemeniti e rafforzarsi come attore regionale filo-iraniano. Quando si analizzano le scelte degli houthi, il peso decisionale dell’Iran non va tuttavia sopravvalutato. Nel Mar Rosso come in Yemen, gli houthi non ricevono ordini dalle Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran.

Essi non sono attori proxy ma hanno una storia politica locale e autonoma che però si intreccia, per ideologia e convenienza reciproca, sempre di più con quella dei pasdaran.

Certo, gli houthi possono attaccare navi e lanciare missili grazie alle armi ricevute illegalmente da Teheran, nonché all’addestramento degli Hezbollah libanesi. Il gruppo potrebbe persino considerare di mandare miliziani a combattere all’estero se ciò fosse utile al raggiungimento dei suoi obiettivi territoriali in Yemen. Per il movimento-milizia, il conflitto a Gaza è solo una ´finestra di opportunità` da cogliere per elevare la portata della minaccia dallo Yemen, consolidando così ´pubblico` interno e regionale: la propaganda seguita al sequestro della “Galaxy Leader”, tra video e visite guidate, lo dimostra.

Statunitensi e sauditi dissonanti sugli houthi?

Tra le coste dello Yemen e il Mar Rosso, gli Stati Uniti si giocano ora una parte consistente dell’influenza regionale. Washington deve infatti riaffermare la propria forza e rassicurare gli alleati del Golfo, ma senza far saltare –in caso di ritorsione contro gli houthi- la tregua in Yemen. L’ipotesi di re-designare Ansar Allah (il movimento politico degli houthi) come organizzazione terrorista è tornata sul tavolo della Casa Bianca e complicherebbe i negoziati. L’ennesima task force navale a guida USA rischierebbe di non fare la differenza senza un mandato incisivo. Difficile che ciò avvenga, visto che gli Stati Uniti hanno finora evitato di confermare che alcuni dei droni e missili houthi avessero come bersaglio proprio le navi militari USA. Fatto che porterebbe Washington a una ritorsione, alzando indirettamente la tensione con l’Iran.

Da mesi, gli houthi e l’Arabia Saudita intrattengono colloqui bilaterali per il cessate il fuoco in Yemen. A parte uno scontro al confine, nessun attacco dallo Yemen ha colpito territorio o obiettivi sauditi dopo il 7 ottobre. Ma Riyadh sa di essere a rischio e non vuole interrompere il negoziato con gli houthi. Quando Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono stati colpiti, direttamente o indirettamente, dall’Iran (gli attacchi alle petroliere e a Saudi Aramco nel 2019) e dagli houthi (gli attacchi ad Abu Dhabi nel 2022), hanno poi sempre negoziato, anche perché non vi è stata una risposta militare americana.

Nel Mar Rosso la via è stretta e altri attori globali, magari asiatici, potrebbero inserirsi nella partita diplomatica. Oltre ai comunicati del G7 e dell’Unione Europea”, la risoluzione approvata il 1 dicembre dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha “condannato nei termini più  forti” gli attacchi marittimi degli houthi e il sequestro della “Galaxy Leader”, è stata ancora più significativa, perché una rara dimostrazione di concordia. La Cina, che importa petrolio soprattutto attraverso Hormuz ma necessita del Mar Rosso per l’export, avrebbe interesse a cercare la de-escalation lungo le rotte commerciali. Un’altra spina nel fianco degli Stati Uniti, interessati alla stabilità marittima e, al contempo, a preservare ciò che resta dell’influenza in Medio Oriente.

foto di copertina EPA/YAHYA ARHAB

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