Haiti è da anni imprigionata in una spirale di violenza, disastri naturali, criminalità e instabilità. Quella del Paese caraibico è una delle più gravi crisi umanitarie al mondo ed è il risultato di fattori diversi, ma concatenati: nell’arco di un decennio, nel 2010 e nel 2021, Haiti è stata colpita da due dei terremoti più disastrosi della storia che hanno causato centinaia di migliaia di vittime ed hanno esacerbato i bisogni umanitari della popolazione.
La radicata presenza di gang criminali ha rallentato il processo di ricostruzione, nonché isolato diverse comunità dall’accesso agli aiuti.
Nel 2021, l’assassinio del Presidente della Repubblica, Jovenel Moïse, per mano di un commando criminale, ha gettato Haiti nel caos: da allora, bande armate hanno preso il controllo di intere aree del Paese e hanno gettato la popolazione un costante clima di terrore. A causa di questii eventi, 5,2 milioni di haitiani hanno bisogno di assistenza umanitaria, circa la metà degli 11 milioni di abitanti. Nell’ottobre 2023, l’escalation di violenza, omicidi e rapimenti ha spinto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad autorizzare una missione internazionale di supporto al governo haitiano per ristabilire la sicurezza nel Paese.
Cosa sta succedendo ad Haiti?
L’economia haitiana è in costante contrazione e gli indici di sviluppo umano sono estremamente bassi. Per la frequenza di eventi climatici estremi, la criminalità, e la situazione socio-economica, Haiti è tra i Paesi più vulnerabili al mondo: più del 96% degli haitiani sono esposti ai rischi derivanti da questi fenomeni.
Negli ultimi due anni, il Paese caraibico è stato colpito da un’ondata di violenza senza precedenti. La capitale, Port-au-Prince, si è trasformata in un campo di scontri tra circa 95 gang che si contendono il controllo del territorio. Le sparatorie, gli omicidi, le aggressioni e i rapimenti sono all’ordine del giorno. Centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case per sfuggire alla violenza tra le gang, che controllano l’80% della capitale.
Solo nella prima metà del 2023, oltre 2400 persone sono state uccise e circa 900 sono state ferite a causa degli scontri. Si registra, inoltre,un aumento del numero di rapimenti e dei casi di violenza sessuale sulle donne.
Secondo l’Unicef, il clima di violenza ha causato un aumento annuale del 30% dei casi di malnutrizione acuta infantile: quasi un bambino haitiano su quattro soffre di malnutrizione cronica, e oltre 100,000 bambini sono a rischio di vita a causa dell’insicurezza alimentare. Questa drammatica situazione coincide con lo scoppio di una epidemia di colera, che mette ulteriormente a rischio i bambini vittime di malnutrizione.
La missione internazionale: una “decisione storica” per l’ONU
L’idea di una missione internazionale di supporto al governo haitiano è stata apertamente sostenuta per mesi dal Primo ministro di Haiti, Ariel Henry, e dal Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres. Le negoziazioni sono andate avanti per circa un anno, da quando nell’ottobre 2022 Henry ha richiesto una forza internazionale di supporto nel suo Paese, fino a quando il governo del Kenya si è proposto per guidare la missione. Il 2 ottobre 2023, il Consiglio di Sicurezza ha formalmente autorizzato una missione internazionale di sicurezza ad Haiti per un periodo iniziale di un anno.
Il Kenya si è detto pronto a dispiegare 1000 poliziotti per addestrare le forze di polizia locali e aiutarle a ristabilire l’ordine, mentre altri Paesi sono stati invitati a partecipare alla missione e a fornire supporto.
Ad Haiti ha già operato una missione di peacekeeping ONU, la MINUSTAH, dispiegata dopo un colpo di stato nel 2004 e attiva fino al 2017. La MINUSTAH è stata oggetto di forti critiche a causa di casi di violenza sessuale e abusi commessi dal personale e, in generale, per gli insuccessi rispetto al mandato originale. Tuttavia, quella autorizzata ad ottobre non sarà una missione ONU. La decisione di non far ricadere l’operazione sotto la diretta guida dell’organizzazione, infatti, è motivata anche dall’impopolarità della precedente missione.
Ciononostante, la decisione è stata definita “storica”, poiché sarà la prima missione di questo tipo autorizzata dal Consiglio di Sicurezza ed è considerata un atto di solidarietà da parte della comunità internazionale nei confronti della popolazione haitiana.
Quali sono le implicazioni della missione?
La decisione del Consiglio è stata accolta da pareri contrastanti: il governo haitiano e gli Stati Uniti – promotori della missione insieme all’Ecuador – hanno espresso soddisfazione, mentre molte critiche sono partite dalla società civile di Haiti ed hanno coinvolto le unità destinate dal Kenya. I 1000 kenioti che guiderebbero la missione potrebbero appartenere al gruppo paramilitare General Service Unit (GSU), accusato di violenza e abusi. In generale, la polizia keniota è legata a casi di violazione dei diritti umani e non gode di una buona reputazione nel Paese africano. L’OHCHR ha recentemente espresso preoccupazione per l’eccessivo uso della forza della polizia in Kenya, e questo solleva molti dubbi sull’affidabilità delle unità promesse da Nairobi in un contesto fragile come quello haitiano.
Una questione dibattuta riguarda anche le motivazioni dell’iniziativa del Kenya. Se da una parte il Paese africano ha una tradizione di partecipazione ad interventi umanitari, le relazioni diplomatiche con Haiti sono state formalmente stabilite solo a settembre 2023, proprio alla luce della futura missione. Sicuramente l’incentivo economico, nella forma di risorse allocate dai Paesi contributori – gli Stati Uniti hanno già promesso 100 milioni di dollari -, gioca un ruolo rilevante. Non è di minore importanza il potenziale accrescimento della reputazione diplomatica e politica del Kenya.
Sebbene il governo haitiano abbia fortemente richiesto l’intervento, la società civile potrebbe accogliere con resistenza l’arrivo di nuovi contingenti stranieri. La reputazione della MINUSTAH, oltre ai casi di violenze ed abusi, è stata macchiata dall’inizio di una epidemia di colera nel 2010, introdotta dal contingente nepalese, che causò la morte di 10.000 persone. È quindi fondamentale che siano introdotti meccanismi di monitoraggio e salvaguardia dei diritti della popolazione e che la nuova missione non incorra negli errori del passato.
Inoltre, la società civile haitiana ha espresso perplessità riguardo l’efficacia reale della missione internazionale. Le barriere linguistiche e di fiducia tra il personale straniero e la popolazione potrebbero rappresentare un ostacolo agli obiettivi di lungo termine. Oltre al supporto delle forze di polizia, è parallelamente necessario un rinnovamento del dibattito politico, in un Paese dove le elezioni vengono continuamente rimandate dal 2016.
Infine, è essenziale una risposta appropriata ai bisogni umanitari degli haitiani: a fronte ad una richiesta di 720 milioni di dollari di aiuti, infatti, meno del 30% è stato coperto dai donatori. Fornire assistenza umanitaria, insieme a sicurezza e stabilità, deve essere una priorità per la comunità internazionale.
foto di copertina EPA/SARAH YENESEL