22 Dicembre 2024

La Cina frena la corsa europea alle materie prime critiche

La competizione tra Stati Uniti e Cina caratterizza lo scacchiere internazionale attuale, ricordando sempre di più i freddi anni della competizione bipolare del secolo scorso. Al confronto geopolitico ed economico fra queste due potenze egemoni, o aspiranti tali, si frappone però una terza urgenza, ovvero l’azione contro i cambiamenti climatici.

Usa e Ue in competizione sulla decarbonizzazione

Alla luce dell’intersezione tra queste tre dimensioni, possiamo interpretare l’Inflation Reduction Act (IRA) firmato dal presidente americano Joe Biden il 16 agosto 2022. L’IRA è la base della nuova politica industriale americana che, forte di una dote da 500 miliardi di dollari, mira a ricostruire quella capacità produttiva che negli anni si è progressivamente spostata verso Oriente, allocando 360 miliardi a clima e decarbonizzazione. Sull’altra sponda dell’Atlantico, con i soliti intenti e mossa dai timori di una potenziale perdita di competitività causata dall’IRA, l’Unione europea ha adottato un provvedimento parallelo, il Green Deal Industrial Plan. Il piano europeo, forte di una potenza di fuoco da 270 miliardi di Euro e per mezzo del dedicato Net-zero Industry Act, mira anch’esso a promuovere la produzione di tecnologie pulite.

Lo strumento delle politiche industriali riacquisisce nuovo vigore, incontrando però in Europa e Stati Uniti il medesimo potenziale collo di bottiglia: la dipendenza per le materie prime necessarie alle tecnologie di decarbonizzazione. Il Critical Raw Material Act (parte del Green Deal Industrial Plan) presenta una lista delle materie prime considerate critiche, definendo “strategici” materiali come litio, cobalto e terre rare, necessari per la produzione di batterie e dei magneti permanenti presenti nelle turbine eoliche.

La strategia cinese sui materiali critici

Il motivo della crescente preoccupazione? Il dominio cinese lungo l’intera catena di approvvigionamento dei principali materiali critici per la decarbonizzazione; posizione ottenuta grazie a un capitalismo di stato che negli anni ha combinato interessi economici, strategici e di sicurezza. Beijing controlla oggi un terzo delle riserve mondiali di terre rare, il 65% della loro produzione e il 90% della raffinazione. Concentrazione che ha portato nel tempo l’Unione europea ad una dipendenza pressoché totale dagli import cinesi, rappresentando fino all’80 percento degli import totali.

Produzione globale di terre rare, 1994-2022 (Bruegel, 2023)

Inoltre, i pesanti investimenti cinesi in Repubblica Democratica del Congo, paese che detiene il 70% delle riserve mondiali di cobalto, hanno portato Pechino a controllarne le operazioni di estrazione, detenendo anche il 72% della capacità di raffinazione globale. Situazione analoga si ha per il litio, grazie agli investimenti cinesi nella società di estrazione cilena Sociedad Química y Minera, all’acquisizione della quota di maggioranza della più grande riserva globale, in Australia, e al controllo della capacità di raffinazione globale. Il dominio di Pechino nella produzione di batterie al litio, magneti permanenti e pannelli solari, ovvero prodotti ad alto valore aggiunto e la più alta domanda domestica globale concludono il tutto.

Nel quadro della competizione geopolitica tra Cina e Stati Uniti, il dominio cinese ha pesanti implicazioni geoeconomiche. Già nel 2010, Pechino restrinse ufficiosamente l’export di terre rare verso il Giappone, in seguito ad una disputa legata alle acque territoriali del Mar Cinese Orientale. Più di recente, l’OCSE ha indicato un aumento delle tasse sulle esportazioni di materiali critici per la transizione energetica, con Pechino prima in classifica per il più alto numero di misure adottate. L’arma geoeconomica cinese però, si è palesata esplicitamente questa estate. Da agosto 2023 infatti, sono entrare in vigore le nuove restrizioni cinesi per l’export di Gallium e Germanium, suggerendo una misura ritorsiva verso lo stop alle esportazioni di chip imposto dagli Stati Uniti nel 2022.

UE: Ridurre la dipendenza dalla Cina

Le contromisure utili a ridurre la dipendenza occidentale dagli import cinesi, descritte anche nel Critical Raw Materials Act, sono riassumibili in: cicli di produzione circolare, aumento della produzione domestica e diversificazione dei fornitori. Tutte presentano importanti limitazioni. Lo sviluppo di cicli circolari si scontra con barriere regolatorie, finanziarie e tecnologiche. Aprire nuove miniere richiede importanti investimenti, incontra l’opposizione degli abitanti locali e ha un alto impatto ambientale. Attualmente la soluzione più immediata appare la diversificazione degli import, la quale però deve fare i conti con la vivacità geopolitica attuale. Le nuove politiche industriali assumono quindi una proiezione esterna, in competizione con il dinamismo internazionale cinese per mezzo della Belt & Road Initiative, calamita per i paesi in via di sviluppo, spesso ricchi di materiali critici.

Le sfide poste dalla transizione energetica vanno oltre le dimensioni economiche e ambientali, intrecciandosi con le dinamiche geopolitiche del nostro secolo. L’arma geoeconomica di Pechino può potenzialmente rallentare i nostri processi di decarbonizzazione, ponendo una seria minaccia per i nostri obiettivi di riduzione delle emissioni. La risposta più efficace a tale ricatto è la coesione. Stati Uniti, Unione europea e i loro alleati devono lavorare insieme sui fronti dell’innovazione, della collaborazione economica e dell’azione diplomatica verso nuovi fornitori.

Foto di copertina EPA/WANG YE / XINHUA CHINA OUT / UK AND IRELAND OUT

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