30 Dicembre 2024

Le ostilità Hamas – Israele e le regole dei conflitti armati

L’attacco di Hamas ad Israele il 7 ottobre ha chiamato in causa il diritto internazionale per stabilire la legittimità delle azioni dei contendenti. I fugaci commenti della stampa quotidiana e i dibattiti televisivi non sono stati sul punto sempre pertinenti ed hanno spesso originato confuse prese di posizione. Qui s’intende ristabilire i termini della questione, quantunque le soluzioni possibili non siano univoche, ma estremamente controverse.

Occorre distinguere tra diritto di ricorrere alla forza armata e diritto applicabile alle ostilità, una volta che si sia fatto ricorso alla forza. La prima branca del diritto internazionale riguarda la valutazione dell’intervento di Hamas contro Israele e la legittimità di Israele di reagire invocando la legittima difesa. La seconda branca riguarda invece le modalità di uso delle operazioni militari indipendentemente dalla liceità del ricorso alla forza armata. Per il momento, intendiamo occuparci solo del secondo aspetto della questione, evitando, per quanto possibile, di prendere posizione sulla liceità delle azioni dell’uno o dell’altro belligerante. Compito che lasciamo al lettore, il quale potrà avvalersi delle regole che andiamo ad esporre ed applicarle ai fatti. Peraltro anch’essi controversi, come dimostra la diatriba sulla responsabilità dell’attacco all’ospedale di Gaza.

Il diritto applicabile

I conflitti armati hanno le loro regole, che sono stabilite dal diritto internazionale umanitario.  A parte le norme della consuetudine internazionale e le Convenzioni dell’Aja del 1907, le regole in questione sono stabilite in primo luogo dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai due Protocolli addizionali del 1977. Israele ha ratificato solo le Convenzioni di Ginevra, mentre la Palestina, la cui qualifica di stato è controversa, ha ratificato sia le Convenzioni che i Protocolli. A supporre che Gaza continui a far parte dello stato palestinese, tali strumenti vincolerebbero pure Hamas.

Il diritto varia a seconda che il conflitto sia qualificabile come conflitto internazionale o conflitto interno. Gli autori non sono concordi. Taluni considerano Gaza ancora come territorio occupato da Israele, nonostante il ritiro del 2005. La Corte suprema di Israele ha ritenuto che Gaza fosse ancora territorio occupato e quindi le ostilità con Hamas fossero da qualificare come un conflitto armato internazionale, ma il blocco israeliano di Gaza fu considerato come afferente ad un conflitto armato interno dalla Commissione istituita dalle Nazioni Unite.

Comunque sia, vi sono delle regole fondamentali che devono essere rispettate in qualsiasi tipo di conflitto, quali il divieto di uccisione di civili,  la presa di ostaggi e la tortura, crimini attribuibili ad Hamas nell’attacco del 7 ottobre. Anche l’assedio israeliano di Gaza o il blocco navale, qualora comportino gravi privazioni per la popolazione civile, costituiscono una violazione grave del diritto internazionale umanitario.

I combattenti

I combattenti di Hamas hanno diritto allo status di prigionieri di guerra una volta catturati? Israele non considera le milizie di Hamas neppure come insorti ma meri terroristi, che non hanno diritto allo status di prigionieri di guerra. E’ stata prospettata l’ipotesi che Israele possa ripetere quanto fatto dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre e il confinamento dei combattenti di Al-Qaeda e dei talebani catturati nella prigione di Guantanamo, sul presupposto che le milizie delle organizzazioni terroristiche non possono essere qualificate in alcun modo come legittimi combattenti. La discussione è aperta. Se il conflitto fosse qualificato come interno, i combattenti di Hamas sarebbero considerati come insorti, che per definizione non hanno diritto allo status di prigionieri di guerra. Se il conflitto fosse qualificato come internazionale, le milizie di Hamas potrebbero essere considerate come membri di un gruppo di irregolari (ma combattenti legittimi), secondo la III Convenzione di Ginevra.

Tuttavia, osta al riguardo la mancanza di tutti i requisiti disposti dalla Convenzione, tra cui il più appariscente  riguarda l’obbligo di uniformarsi nelle  operazioni agli usi e leggi di guerra. Né, secondo Israele, sarebbe possibile considerare Hamas un movimento di liberazione nazionale che lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese, dal momento che si tratta di figura contemplata dal I Protocollo addizionale del 1977, che Israele si  guarda bene dal ratificare.

La repressione dei crimini di guerra

Ogni parte contraente delle Convenzioni d Ginevra e del I Protocollo ha l’obbligo di reprimere i crimini di guerra o comunque di consegnare il reo allo Stato che abbia un particolare titolo di giurisdizione. In mancanza di repressione da parte dei tribunali interni, dovrebbe provvedere la Corte Penale Internazionale (CPI), la quale ha competenza se il crimine sia stato commesso da cittadini dello Stato parte o sul suo territorio. La Palestina, che ingloba anche la striscia di Gaza, ha ratificato lo statuto della Corte penale internazionale, e quindi la Corte avrebbe competenza per giudicare sia i crimini commessi da Hamas sia quelli commessi da Israele. Tuttavia Israele non è parte dello statuto della CPI e inoltre asserisce l’incompetenza della Corte poiché la ratifica della Palestina sarebbe nulla non essendo questa uno Stato.

Sta di fatto che la Procuratrice della Corte Fatou Bensouda aveva già iniziato un’indagine preliminare per fatti occorsi in Palestina a partire dal 2014, mentre l’attuale procuratore Khan è stato criticato nella stampa araba (Al-Jazeera) per non aver rotto il silenzio sulla tragedia. I record della CPI non sono esaltanti e la repressione dei crimini resta affidata a quegli Stati che dispongono di una giurisdizione universale in materia. Ma, come insegna la prassi, l’esercizio di tale competenza non manca di sollevare delicati problemi politici. Qualora vi fosse un mandato di arresto della CPI, gli stati parti dello statuto di Roma sarebbero obbligati a consegnare il presunto reo alla Corte.  Il pessimismo è d’obbligo.

Le rappresaglie belliche

Le rappresaglie consistono in una violazione di una norma nei confronti dell’avversario, che a sua volta aveva commesso una violazione del diritto internazionale, per indurlo ad osservare il diritto e a dissuaderlo da ulteriori comportamenti illeciti. Le rappresaglie, che comportano l’uso della forza, ormai vietate in tempo di pace, sono ancora ammissibili in tempo di conflitto armato, ma in termini molto limitati. Praticamente sono ammesse solo nei confronti di obiettivi militari (ad es., secondo qualche manuale di forza armata, il divieto di non dare quartiere o l’uso di armi che non siano vietate in ogni circostanza), ma assolutamente proibite nei confronti della popolazione civile o beni di natura civile o culturale. Tali divieti coprono sia i conflitti armati interni che quelli internazionali, e quindi sono applicabili  alle ostilità tra Israele e Hamas, qualunque sia la natura del conflitto.

L’oggetto della violenza bellica

Le operazioni belliche possono avere per oggetto solo obiettivi militari e non possono essere dirette contro obiettivi civili, quali la popolazione e i beni civili come le abitazioni, gli ospedali, i beni culturali e i luoghi di culto. Si tratta di regole in apparenza semplici, ma che nella pratica divengono spesso complicate, ad es. quando un bene civile, come un’abitazione o una scuola vengono usati per scopi militari (rifugio di combattenti, magazzino per munizioni, etc.). Occorre osservare i principi di  precauzione e proporzionalità, per evitare che nel colpire un obiettivo militare si producano danni collaterali a beni di natura civile, eccessivi rispetto al vantaggio militare conseguito. Principio da osservare specialmente quando le ostilità si svolgono in luoghi sovraffollati, come le aree urbane.

Il diritto umanitario consente la creazione di aree esenti da ostilità, da istituire tra l’altro con l’aiuto di organizzazioni umanitarie, quali il Comitato internazionale della Croce Rossa. Ma è illegale, specialmente in territorio occupato, l’espulsione in massa della popolazione civile per poter creare delle zone dove le operazioni belliche possano essere liberamente condotte.

foto di copertina EPA/HANNIBAL HANSCHKE

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