Dopo la missione di Blinken nella regione, la coraggiosa visita lampo di Biden in Israele aveva almeno tre obiettivi di breve termine: manifestare con il massimo della solennità la solidarietà americana al Governo e al popolo di Israele colpito dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre; chiedere al contempo al Governo israeliano moderazione e prudenza nella reazione contro Hamas con l’obiettivo di evitare vittime civili innocenti nella Striscia Gaza; sollecitare la ricerca di una soluzione al problema degli ostaggi catturati da Hamas e una disponibilità israeliana sulla apertura di corridoi umanitari necessari per far giungere a Gaza generi di prima necessità.
La solidarietà non poteva essere più esplicita e si é concretizzata con la condanna più solenne dell’attacco terroristico di Hamas, con la conferma dell’impegno americano per la sicurezza di Israele, con la messa a disposizione di armi e di equipaggiamenti militari necessari per la difesa di Israele (che non a caso Netanyau ha definito giganteschi), con la certificazione della tesi (sostenuta da Israele) che la distruzione dell’ospedale Ahli Arab a Gaza non era stata una responsabilità israeliana. E molto espliciti sono anche stati i messaggi di Biden mirati a dissuadere (Iran in primis) chi avesse intenzione di approfittare dell’occasione per attaccare direttamente o per interposta persona lo Stato ebraico.
Le preoccupazioni di Biden
Sulla moderazione nella risposta all’attacco terroristico Biden è stato ugualmente chiaro ed esplicito quando ha pubblicamente esortato il Governo israeliano a non ripetere gli errori che gli americani fecero dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001. Una indicazione molto diretta che l’Amministrazione USA si attende da Israele una condotta delle operazioni a Gaza ragionevole, proporzionale e in linea con le disposizioni del diritto internazionale e del diritto umanitario. Nel messaggio del Presidente americano appare evidente, al di là della comprensibile preoccupazione per la sorte di civili innocenti, la preoccupazione che una reazione eccessiva e indiscriminata israeliana possa comportare rischi di una regionalizzazione del conflitto e possa alimentare una generale mobilitazione delle piazze arabe e musulmane contro Israele e più in generale contro l’Occidente percepito come alleato di Israele.
Sulla sorte degli ostaggi e sulla apertura di corridoi umanitari Biden non é stato il solo a rivolgere un appello a Israele. Ci stanno provando in molti dalla Turchia, a vari Paesi arabi. Perfino l’Unione Europea finora apparsa incerta e indecisa sulla linea da tenere ha avvertito Israele dei rischi di una risposta indiscriminata. Nei prossimi giorni sapremo se nel Gabinetto di guerra israeliano, insediato qualche giorno fa per gestire l’emergenza e limitare l’influenza nefasta di alcuni Ministri espressione dei partiti religiosi ultra-conservatori, prevarrà la linea della saggezza e della prudenza o quella della vendetta a prescindere. Ma è evidente che la natura e la portata delle operazioni israeliane a Gaza nei prossimi giorni avranno un impatto rilevante nella gestione della crisi e sui futuri rapporti di Israele con il mondo arabo.
Una nuova iniziativa diplomatica?
La visita del Presidente americano aveva probabilmente anche l’obiettivo più ambizioso di rilanciare una presenza americana in una regione dalla quale gli americani erano da troppo tempo assenti e la cui stabilità non figurava più tra le priorità della Amministrazione USA. E magari di testimoniare la volontà di Washington di riprendere il filo di una qualche iniziativa politico-diplomatica per la soluzione del problema palestinese. Ne era testimonianza il progetto originario della visita, che avrebbe dovuto includere un passaggio dalla capitale giordana per un incontro con il re di Giordania, Abdallah, con il presidente egiziano Al Sisi e con il Presidente dell’Autorità nazionale Palestinese, Abu Mazen.
Un vertice con i leader di questi Paesi arabi moderati, e sostanzialmente alleati degli americani, poteva essere l’occasione per avviare nell’immediato una qualche iniziativa congiunta per gestire l’emergenza e avviare una de-escalation. Ma anche per cominciare a definire una strategia di medio termine per una soluzione del problema palestinese. E non a caso, a Tel Aviv Biden ha ricordato che gli USA continuano a sostenere una soluzione della questione palestinese basata sulla formula dei due popoli e due Stati. Ma l’attacco all’ospedale a Gaza poche ore prima dell’arrivo di Biden a Tel Aviv ha reso impossibile questa parte del programma e di fatto ridimensionato il significato della visita stessa.
Stabilizzare una regione ad alto rischio
Una volta cessata la fase acuta di questa crisi, e ammesso che si riesca ad evitare un allargamento del conflitto e a contenere gli effetti sui Governi dei Paesi della regione delle prevedibili proteste popolari che si stanno diffondendo nel mondo arabo e musulmano, ci dovremmo augurare che la visita di Biden e l’attivismo di Blinken non restino senza seguiti. E che si possa registrare una ripresa di iniziativa della Amministrazione americana nella regione, malgrado le difficoltà di un difficile anno elettorale negli USA. Il quadro complessivo è ora più che mai complicato, ed è difficile aspettarsi soluzioni miracolistiche a breve scadenza. Ma nel passato il coraggio e l’attivismo diplomatico di alcuni Presidenti americani, combinato con il ruolo svolto da leaders locali lungimiranti e responsabili (che oggi latitano), era riuscito a produrre risultati impensabili, anche se purtroppo successivamente vanificati.
Un successo americano nella regione, o anche solo una seria ripresa di iniziativa diplomatica, potrebbe rilanciare il ruolo degli USA sulla scena internazionale, recuperare consensi in vari Paesi del cosiddetto “sud globale” oggi delusi dall’occidente, e contribuire a stabilizzare una regione ad alto rischio. E verosimilmente se gli americani si impegnassero di nuovo nella regione, anche l’Europa, che finora in questa crisi ha brillato per le sue incertezze, divisioni e contraddizioni, potrebbe fare la sua parte e recuperare un suo protagonismo.
Foto di copertina EPA/MIRIAM ALSTER / POOL