Il 31 ottobre dovevano avere luogo in Israele le elezioni per i consigli municipali, un test importante nel Paese segnato da un profondo scisma che ne lacera la società dopo l’insediarsi di un governo frutto di un’alleanza fra il Likud del premier Netanyahu e partiti integralisti. Proteste persistenti da parte dell’opinione pubblica contro il degrado antidemocratico e l’ondata di tribalismo intollerante, con modalità senza precedenti nella storia di Israele fino a forme di quasi “obiezione di coscienza” di reparti della riserva dell’esercito e azioni di disobbedienza civile che dimostrano la gravità della crisi. Le elezioni saranno posposte in virtù del regime di guerra che il governo ha testé dichiarato, in reazione all’esplodere di violenza fra Hamas, forza egemone nella striscia di Gaza in un regime quasi dittatoriale dal 2007, e Israele, in una coazione a ripetere altri episodi di “guerra guerreggiata”, nel 2008-09, nel 2014 e piu’ di recente nel 2021.
La gravità del trauma
Hamas ha voluto sfruttare in modo pretestuoso l’occasione delle provocazioni di estremisti ebrei, che predicano l’espulsione dei palestinesi, e le presunte minacce all’integrità della Spianata delle Moschee, luogo sacro dell’Islam ma al contempo simbolo di una sovranità rivendicata. Dall’altro ha teso a sabotare, sotto l’influenza di Hezbollah in Libano e del regime iraniano, il processo di normalizzazione in corso fra Israele e Arabia saudita, giunto vicino alla stipula di un accordo. L’offensiva ha colpito e devastato edifici, strade, infrastrutture nelle regioni del sud e del centro del Paese, assassinato e ferito un numero immane di civili nei giorni di Sukkot, la festa ebraica delle capanne, catturato ostaggi, la cui condizione è tuttora tragicamente incerta : un’esibizione di forza militare nel reagire contro il nemico Israele mentre l’Autorità palestinese e il Fatah, nella retorica fondamentalista di Hamas, restavano inerti.
Qualche ordine di grandezza a fini di un confronto storico può essere indicativo della gravità del trauma: nell’arco di due-tre giorni il numero di vittime israeliane (circa 1200) ha superato quello della guerra del 1967 o quello della lunga, esiziale ondata terroristica della seconda intifada, fra il 2000 e il 2005.
Anche geografia e storia dei luoghi dell’eccidio sono cariche di simbolismo. Oltre alle città quali Sderot e Ashkelon, colpite dai devastanti razzi lanciati da Hamas, i piccoli kibbutzim quali Kfar Azza e Be’eri, dove l’obbrobrio della strage di civili è stato più acuto, fondati con l’indipendenza di Israele nel 1948 – che conosco personalmente – hanno una tradizione di attività di coesistenza con i ”vicini” abitanti nella Striscia, organizzate da ong israeliane quali Roads to Recovery e Physicians for Human Rights, Federate in Alliance for Middle east peace (www.allmep.org), attività rivolte soprattutto ad assistere presso ospedali israeliani malati palestinesi bisognosi di cura.
Chi vince nella “faida barbarica”
Due i vincitori nel breve periodo in questa “faida barbarica” – come la definì Avishai Margalit, un insigne filosofo israeliano – stretti da una malefica, oggettiva alleanza: Hamas, che trionfa nelle simpatie dei palestinesi e nella retorica del mondo musulmano; Netanyahu che, premier di un governo osteggiato da strati corposi dell’opinione pubblica, resta l’artefice primo di una strategia rivolta da anni a separare Gaza e Cisgiordania, Hamas e Autorità palestinese, al fine di evitare un negoziato di pace che contempli la fine dell’occupazione, e il leader di una “union sacrée” contro il nemico irriducibile.
Al contrario, da un lato è vano affidarsi alla mera repressione militare della violenza senza offrire un negoziato di pace, anzi esaltando dopo attentati terroristici in Cisgiordania nel corso di quest’anno la volontà di costruire nuove case negli insediamenti israeliani in quel territorio e tollerando con indulgenza le ripetute violenze squadristiche dei coloni stessi contro località palestinesi e i loro abitanti che li spingono ad abbandonare loro terreni e fonti di sostentamento. Dall’altro, l’illusione di piegare Israele con la violenza, riscattando l’impotenza dell’Autorità palestinese indebolita nei suoi apparati e fortemente delegittimata nella sua stessa opinione pubblica, resta un’ossessione sciagurata nell’ideologia integralista di Hamas, a cui è soggetta la popolazione di Gaza, oppressa, impoverita, e vittima delle ritorsioni israeliane.
Foto di copertina EPA/ATEF SAFADI