Il 20 giugno la Commissione Europea ha presentato la sua strategia per la sicurezza dell’economia europea. In seguito all’aggressione russa dell’Ucraina sono emersi i rischi della dipendenza dell’economia europea dal gas russo: molti stati membri hanno realizzato di essere drammaticamente esposti al ricatto energetico del Cremlino, ritrovandosi obbligati a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento nel giro di pochi mesi.
A più di un anno dall’invasione, l’Unione europea e gli Stati membri sono stati in grado di fronteggiare il ricatto russo limitando i danni dell’abbandono di un modello di sviluppo che in molte economie aveva tra i suoi fattori abilitanti anche lo sfruttamento del gas a basso costo di Mosca. Tuttavia, la lezione appresa nell’ultimo anno ha evidenziato gli enormi pericoli che l’economia europea corre quando è eccessivamente legata all’interscambio con Paesi terzi che hanno disegni politici in antitesi con i valori e le prospettive europee. In un contesto internazionale sempre più competitivo, che vede il moltiplicarsi di attori statali potenzialmente ostili, la Commissione ha aperto il dibattito sullo sviluppo di contromisure in grado di consentire all’Unione ed agli stati membri di proteggere l’economia da futuri shock politico-economici su scala regionale o globale.
Cosa vuol dire sicurezza economica
Gli obiettivi strategici del piano lanciato da Palazzo Berlaymont sono la salvaguardia dell’economia europea, il rafforzamento della sua competitività e la difesa della capacità dell’Unione di confrontarsi con atti ostili alla visione europea dell’ordine internazionale senza correre il rischio di trovarsi a scegliere tra la salvaguardia dei suoi obiettivi politici e quella dei suoi interessi economici.
Nello specifico, la Commissione intende sviluppare strumenti per proteggere le catene di approvvigionamento, evitare il furto di tecnologie sensibili, in particolare quelle ad uso civile-militare, ridurre il rischio che Paesi terzi ricattino politicamente gli Stati membri facendo leva sui rapporti economici. Per farlo, Bruxelles prevede di investire nel complesso tecno-industriale europeo per stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie ed ambisce ad intensificare la cooperazione con i partner internazionali di lunga data con cui condivide valori e visioni politiche.
All’interno della proposta della Commissione sono previsti meccanismi di identificazione delle tecnologie sensibili e valutazione dei rischi di esportarle a Paesi terzi, nonché ulteriori meccanismi di coordinamento con il settore privato allo scopo di sostenere le strategie europee. Il Berlaymont ha anche intenzione di proporre ulteriori regolamenti e strutture al fine di facilitare la cooperazione tra Commissione e stati membri nel vagliare gli investimenti in entrata ed in uscita, tra cui l’istituzione di un’unica agenzia di intelligence dedita all’identificazione di minacce alla sicurezza economica dell’Unione.
Le implicazioni politiche del de-risking
La nota della Commissione non rappresenta che la fase embrionale di una discussione che vedrà nei prossimi mesi un serrato confronto tra Stati ed istituzioni per arrivare ad una sintesi che renda operativa la dottrina di Bruxelles. La discussione si preannuncia intensa ed è improbabile che si arrivi ad un accordo nel breve periodo. Molti Stati membri sono infatti cauti rispetto alla proposta della Commissione. Le ragioni della cautela sono molteplici.
La strategia di Bruxelles è evidentemente orientata al de-risking nelle relazioni con la Cina, partner di grande importanza per molti paesi dell’Unione, tra i quali anche le due principali potenze economiche del continente: Germania e Francia. Proprio Berlino ha avuto modo di segnalare più volte il suo scetticismo rispetto a una riduzione dell’interscambio con la Cina: alla fine del 2022 il Cancelliere Scholz si è recato in visita a Pechino accompagnato da un nutrito gruppo di imprenditori rimarcando la volontà tedesca di continuare a fare affari con la Cina ed il 20 giugno si è inoltre tenuta in Germania la Settima consultazione bilaterale sino-tedesca per discutere di nuove prospettive economiche. La ragione della riluttanza di Scholz è chiara: un decimo delle imprese tedesche ed un milione di posti di lavoro in Germania sono direttamente o indirettamente dipendenti dai rapporti con la Cina.
Altri Stati vivono invece la proposta della presidente Von der Leyen come l’ennesima appropriazione da parte della Commissione di competenze che sono di dominio degli Stati membri. La strategia di sicurezza economica è solo uno degli ultimi provvedimenti di natura marcatamente sovranazionale che la presidenza Von der Leyen ha intrapreso in ambiti di policy-making nei quali fino a poco prima della pandemia era impensabile che l’Unione avesse anche solo un ruolo di coordinamento. A guardare con sospetto alle misure della Commissione sono anche quegli stati membri che vedono nella storica vocazione al libero commercio dell’Unione uno dei suoi principali punti di forza.
La nuova strategia dell’Unione sarà dibattuta a lungo in seno alle istituzioni intergovernative e sovranazionali ed è incerto che contorni assumerà. Sicuramente rappresenta uno storico cambio di passo dell’Unione nel confrontarsi con il commercio internazionale. Un mutamento di paradigma destinato ad avere conseguenze anche nelle relazioni esterne dell’Ue: proprio pochi giorni dopo l’annuncio del piano Pechino, non a caso, ha unilateralmente cancellato la visita dell’Alto Rappresentante Borrell senza fornire alcuna spiegazione.
Foto di copertina FABIO CIMAGLIA