22 Dicembre 2024

Nosferatu vs Frankenstein: la Spagna dopo il 23 luglio

Negli ultimi anni la Spagna è diventato uno dei paesi più polarizzati al mondo, dopo Argentina e Stati Uniti. Il clima che si respira in queste settimane di un’inedita campagna elettorale nel cuore dell’estate lo sta dimostrando. Il paese è spaccato in due, il dibattito politico è spesso privo di sostanza e la possibilità di arrivare ad accordi che rompano i due blocchi non è altro che una chimera.

Dibattiti, sondaggi, proiezioni

Il dibattito televisivo tra i candidati dei due principali partiti – il socialista Pedro Sánchez, premier uscente, e il popolare Alberto Núñez Feijóo – tenutosi lo scorso 13 luglio lo ha reso ancor più palese. Il candidato del Partido Popular (PP) ha utilizzato la tecnica del Gish gallop, colloquialmente conosciuta come “mitragliatrice di menzogne”, per evitare di parlare seriamente di qualunque cosa e distruggere l’avversario.

Facciamo però un passo indietro. Il prossimo 23 luglio gli spagnoli tornano alle urne solo due mesi dopo aver votato alle amministrative. Si tratta di elezioni anticipate convocate a sorpresa da Sánchez dopo la vittoria schiacciante delle destre il 28 maggio scorso. Il leader socialista ha tentato di sparigliare le carte, recuperare l’iniziativa politica e rimobilitare l’elettorato progressista con lo spauracchio dell’ingresso dell’estrema destra di Vox nella stanza dei bottoni. Uno spauracchio, d’altro canto, più che reale non solo perché Vox ha incrementato i suoi voti, ma anche perché il PP ha siglato senza scomporsi accordi di governo in quattro regioni e oltre un centinaio di comuni con il partito guidato da Santiago Abascal. In alcuni casi, come a Valencia e in Extremadura, si stanno formando proprio in questi giorni esecutivi di coalizione, che si sommano a quello già esistente in Castiglia e León, mentre in altri, come nelle Baleari e in Aragona, il PP governa in minoranza con l’appoggio esterno di Vox, dopo la firma di specifici accordi programmatici.

Vox e Ppe: il “governo Nosferatu”

La questione chiave, però, è se la strategia su cui Sánchez sta giocando quasi tutte le sue fiches funziona. La media dei sondaggi delle ultime settimane direbbe che non più di tanto. Il PP sarebbe saldamente il primo partito con il 33% dei voti, i socialisti si piazzerebbero secondi con il 28%, mentre per la terza posizione la lotta sarebbe apertissima tra Vox e Sumar, la piattaforma di sinistra radicale guidata dalla ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz, e formata da un congiunto di forze progressiste tra cui Unidas Podemos. Entrambi i partiti sono dati attorno al 13%. Con questi numeri alla mano, le destre potrebbero avere la maggioranza in parlamento e Feijóo potrebbe insediarsi nel palazzo della Moncloa con Abascal come vicepresidente. Sarebbe quello che un ex dirigente del PP, José María Lassalle, ha definito governo Nosferatu.

Non è comunque detta l’ultima parola: non solo perché i sondaggi devono prendersi con le pinze, ma anche perché il 30% degli spagnoli deciderà il suo voto negli ultimi giorni della campagna elettorale e in alcune circoscrizioni l’ultimo seggio in ballo si deciderà per un pugno di voti. Sarà importante anche capire quanto peserà l’astensione tenendo conto che si vota nel cuore di una torrida estate. Un dato è comunque sintomatico: il voto per corrispondenza si è più che duplicato rispetto al passato, con oltre 2,5 milioni di richieste. Vedremo.

A questo proposito, e tornando alle strategie dal sapore trumpista o bolsonarista adottate non solo da Vox, ma anche dal PP, Feijóo è arrivato persino a mettere in dubbio l’affidabilità del voto per corrispondenza e la gestione delle Poste. La radicalizzazione dei popolari è un dato di fatto. Lo slogan della campagna di Feijóo è, letteralmente, “derogare il sanchismo”, ossia non solo sbattere fuori dalla Moncloa un presidente considerato traditore della nazione spagnola – per l’appoggio esterno ottenuto su alcune leggi da indipendentisti catalani e baschi –, ma annullare tutte le leggi approvate negli ultimi tre anni su violenza di genere, diritti LGTBI, memoria storica, politiche sociali.

Detto ciò, il PP si sente già vincitore e in questa campagna elettorale sta schiacciando l’acceleratore con la speranza di ottenere una vittoria al di sopra delle aspettative. Ovvero rubare consensi sia all’estrema destra sia al centro, con la giustificazione del voto utile e di un esecutivo stabile. Non ci sono dubbi, infatti, che l’obiettivo dei popolari sarebbe quello di poter governare da soli. A differenza del passato, però, la maggioranza assoluta di un solo partito non è più uno scenario reale in una Spagna politicamente frammentata. Feijóo spera dunque che la correlazione di forze con Vox sia la più favorevole possibile per il PP così da “obbligare” Abascal a un appoggio esterno.

Sanchez e Sumar: Il “governo Frankenstein”

Ma gli scenari, come detto, possono anche essere altri. Se le destre non raggiungono quota 176 nelle Cortes di Madrid, il PP non avrebbe altri possibili alleati con cui accordare un governo e nemmeno ottenere un sostegno esterno. Difficile, ma non proprio impossibile, in quel caso una riedizione della maggioranza di sinistra che ha governato il paese in questa legislatura, ossia un governo di minoranza tra il PSOE e Sumar che avrebbe bisogno dell’appoggio esterno di diverse formazioni regionaliste e nazionaliste. È quello che le destre hanno chiamato il governo Frankenstein. Un esecutivo che, nonostante il complesso contesto internazionale segnato dalla pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina, ha portato avanti con successo l’agenda progressista che aveva promesso e ottenuto risultati più che soddisfacenti a livello macroeconomico.

“Tertium non datur”

Tra Nosferatu e Frankenstein, c’è però un ultimo scenario da tenere presente: la ripetizione elettorale. Se le destre non raggiungono quota 176 e le sinistre non riescono a mantenere i seggi conquistati nel 2019, l’aritmetica parlamentare diventerebbe un rebus di difficile soluzione. In soldoni, se fossero indispensabili i voti di Junts per Catalunya, il partito della destra indipendentista catalana guidato da Carles Puigdemont, Sánchez non verrebbe rieletto, ma sarebbe allo stesso tempo impossibile una maggioranza alternativa. È quello che succede quando un paese è così polarizzato: tertium non datur.

Alla fine della fiera, dunque, tutto dipenderà dall’elettorato di sinistra: andrà a votare o preferirà la spiaggia? Perché non ci sono dubbi che l’elettorato di destra, sia quello del PP sia quello di Vox, è ipermobilitato. E, attenzione, perché quello che decideranno gli spagnoli peserà anche in Europa. Non solo perché una vittoria delle destre confermerebbe il trend ultraconservatore che abbiamo visto negli ultimi mesi – dall’Italia alla Grecia, passando per la Svezia e la Finlandia –, ma anche perché un esecutivo Feijóo-Abascal rafforzerebbe i fautori di un accordo tra il PPE e l’estrema destra a Bruxelles. Le risposte ovviamente le avremo la sera del 23 luglio.

Foto di copertina EPA/JUANJO MARTIN

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