Nel 2019 un aumento dei biglietti della metro innescò una serie inaspettata di eventi in Cile. Scatenò infatti un movimento di protesta che riuscì a convincere il precedente governo di destra guidato da Sebastián Piñera a iniziare un processo di riforma della Costituzione che vige nel paese dall’epoca del dittatore Augusto Pinochet. Due anni dopo, uno dei promotori del processo, Gabriel Boric (di sinistra), vinse la presidenza.
Tutto sembrava indirizzare il Cile verso la trasformazione progressista, ma nell’ultimo anno la situazione si è completamente rovesciata: la prima bozza di riforma è stata ampiamente bocciata dalla popolazione nel 2022, e lo scorso 23 maggio il popolo cileno ha votato per eleggere un Consiglio Costituente composto nella sua maggioranza da partiti di destra che si opponevano alla riforma.
Dalla piazza alla riforma della Costituzione
Le proteste contro il caro trasporti – soffocate nella repressione dal governo cileno -furono infatti solo il pretesto per far emergere lo scontento verso le profonde diseguaglianze sociali causate dalle politiche economiche neoliberali del Paese, uno dei più ricchi in America Latina, ma dove ridistribuzione del reddito è più iniqua, e dove grandi fasce della popolazione sono escluse dall’accesso ai sistemi pensionistico, educativo e sanitario. Secondo la Banca Mondiale, nel 2017 il coefficiente di Gini del paese si attestava a 0,46 (2017), uno dei più alti tra i 38 membri dell’OSCE.
I manifestanti identificarono nella Costituzione (in vigore) del 1980 voluta dal regime di Pinochet uno dei punti chiave per cambiare questo sistema paese. Molto difficile da emendare (prevedendo i due terzi di ciascuna Camera del Congresso per emendarla), essa si basa sul concetto di ‘stato sussidiario’, stabilendo il minimo intervento pubblico nella protezione sociale, la quale viene affidata alla logica di mercato, riflettendo la logica di Pinochet di creare una ‘democrazia protetta’.
Il 15 novembre 2019, dopo quasi un mese di intense proteste, i manifestanti e il governo siglarono un accordo che prometteva la fine delle mobilitazioni in cambio di una riforma della Costituzione, sempre che i cileni confermassero la volontà di emendarla in un referendum. Il referendum, posticipato a ottobre 2019 a causa della pandemia da Covid-19, confermò questa volontà: con un’affluenza del 51% degli aventi diritto, il 78% dei votanti si dichiarò favorevole alla riforma e alla creazione di un Consiglio costituzionale speciale (composto da 155 membri ed eletto attraverso plebiscito nazionale) per redigerla.
Costituzione e politica
Gli eventi che si sono susseguiti da allora hanno evidenziato come il dibattito costituzionale sia indissolubilmente legato alle dinamiche politiche. L’ex leader studentesco Gabriel Boric, che nel 2011 diresse le proteste degli studenti per una migliore educazione, si fece portavoce delle richieste dei manifestanti nella campagna elettorale del 2021, vincendo il ballottaggio sul candidato di estrema destra José Antonio Kast con il 56% di preferenze, diventando all’età di 35 anni il più giovane presidente della storia del Paese.
Il progetto di riforma costituzionale diventò quindi parte del piano di governo. La prima bozza della riforma fu redatta dal Consiglio speciale costituente, conformato principalmente da membri di liste indipendenti e di centrosinistra. La proposta includeva la modifica di ben 388 articoli, proponendo una revisione quasi totale del testo che esprimesse valori d’impronta progressista, indigenista, femminista ed ambientalista.
Tuttavia, il 4 settembre 2022 venne ampiamente bocciata da quasi il 62% dei votanti nel nuovo referendum. Le ragioni sono molteplici: la quantità di emendamenti proposti, molti dei quali difficilmente comprensibili per il pubblico generale; l’obbligatorietà del voto, introdotta nel 2019 per questo processo, che ha fatto emergere il voto di frange di popolazione poco avvezze alla partecipazione elettorale e poco interessate a promuovere cambiamenti radicali nella società cilena; un’imponente campagna di disinformazione da parte dell’opposizione, che accusava il testo di dar il là alla costruzione di uno stato comunista. Ma soprattutto, fu un giudizio all’operato del presidente Boric, evidentemente incapace di rispondere alle preoccupazioni più pressanti della popolazione, in ambito economico (aumento dell’inflazione del’8.2% rispetto al 2021 e un’economia pressoché stagnante nel 2022, secondo la Banca Centrale del Cile) e della sicurezza, legato all’aumento della criminalità e i flussi migratori provenienti dal Venezuela. Il governo di coalizione che lo sostiene, infatti, è spesso bloccato da lotte intestine tra ale moderate e radicali e ha subito vari rimpasti, spesso in seguito a scandali riguardanti i suoi ministri, portando a una rapida erosione del suo consenso, ormai sotto al 30%.
In risposta al rifiuto degli elettori, il governo Boric ha deciso di lasciare in mano dei cileni l’elezione di un Consiglio Costituente con il compito di formulare una seconda proposta di riforma attraverso un voto popolare. Nelle elezioni dello scorso maggio, il Partido Republicano e Chile Seguro (entrambi di destra) hanno ottenuto il 56% dei voti e così 34 dei 50 seggi che compongono il nuovo Consiglio.
Verso il compromesso o la polarizzazione?
I partiti di destra si trovano in una posizione invidiabile: hanno potere di veto sulle proposte del Consiglio e controllano quindi il processo. Allo stesso tempo, non si trovano più nella facile posizione di fare opposizione a un Presidente impopolare come Boric, ma ora onori (ed oneri) del processo di riforma ricadono su di loro.
Il Consiglio costituente ha ora sei mesi per presentare una nuova bozza costituzionale che sarà sottoposta a un nuovo referendum verso metà dicembre 2023. I partiti di destra hanno tre opzioni: proporre riforme di estrema destra (divieto dell’aborto per esempio) che porterebbero probabilmente alla bocciatura anche della seconda bozza e quindi a mantenere in vigore l’attuale costituzione voluta da Pinochet; proporre cambi cosmetici senza modificare la sostanza della costituzione; e scendere a compromessi col Frente Amplio di Boric per proporre riforme che riflettano il pluralismo della società cilena.
L’ultima opzione, anche se in teoria la più auspicabile, è anche la meno probabile, visto il declino politico del presidente. Tuttavia, nemmeno il primo scenario giocherebbe a favore della destra, e anzi potrebbe portare a un’erosione del consenso attuale e al rischio di riaccendere tensioni sociali. Infatti, sebbene la maggioranza dei cileni abbiano votato contro la prima bozza, non è detto che tutti fossero totalmente contrari a una riforma meno radicale della costituzione. Inoltre, la spinta sociale che nel 2019 ha avviato questo processo si è evidentemente assopita, ma non necessariamente spenta. Proporre cambi cosmetici più facili da far approvare sarebbe forse l’opzione migliore per tutti, politici e società, ma non è chiaro se i partiti di destra, tra i quali intercorrono profonde differenze, abbiano accordato la strategia da adottare.
Quello che è chiaro è che il sogno di molti cileni di superare la costituzione di Pinochet si è infranto nell’incapacità del governo di interpretare le sensibilità della società nella sua interezza.
Foto di copertina EPA/Presidency of Chile