Nei giorni scorsi la Polonia ha visto circa mezzo milione di persone scendere in piazza a Varsavia per una manifestazione “in difesa della libertà e della democrazia”. Dietro le proteste per una norma che mira appositamente al principale avversario dell’esecutivo, Donald Tusk, si nasconde un Paese diviso tra il nazionalpopulismo e la vocazione europea, e un fronte delle opposizioni da ricompattare in vista delle elezioni parlamentari del prossimo autunno. Ne parliamo con il prof. Daniele Stasi, docente di Storia del pensiero politico all’Università di Foggia.
E.C.: Partiamo dall’attualità: perché il 4 giugno a Varsavia mezzo milione di cittadini polacchi ha contestato il governo e il partito di maggioranza Diritto e Giustizia (PiS)?
D.S.: Il quattro giugno 1989 il sindacato Solidarność conquistava i cuori e buona parte dell’elettorato della Polonia che si stava liberando dal giogo comunista. Molti anni dopo per ricordare questo avvenimento sono avvenute delle manifestazioni a favore ancora una volta della libertà e della democrazia. Nei giorni precedenti il Governo in carica, la maggioranza che lo sostiene e il Presidente della Repubblica si sono dichiarati a favore di una legge che prevede sanzioni di carattere amministrativo, e non solo, per coloro i quali nel corso degli ultimi 15 anni hanno instaurato dei rapporti di collaborazione con la Russia. L’identikit di questa legge è molto chiaro: colpire Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo ed ex premier polacco, che rappresenta in questo momento il vero ostacolo a una possibile riconquista alle prossime elezioni di autunno del potere da parte della maggioranza nazionalpopulista. Quindi una legge ad personam, liberticida, che non ha nulla a che fare né con la tradizione giuridica occidentale, ma nemmeno con i trent’anni di democrazia che la Polonia con grande fatica ha costruito dopo la fine del comunismo. Le manifestazioni dell’altro giorno si ricordavano della straordinaria vittoria del 4 giugno 1989 e l’inizio della fine del comunismo nei Paesi dell’Est, nei Paesi socialisti, ma erano anche l’occasione per manifestare contro una norma liberticida e che fa spostare il baricentro giuridico dello Stato polacco verso un sistema chiaramente autoritario.
E.C.: Entrando nel dettaglio: perché la definisce liberticida? Quali sono le caratteristiche di questa legge?
D.S.: Si tratta di una norma che è vaga già nel suo impianto. Si dice che vanno sanzionati coloro i quali hanno collaborato con la Russia negli ultimi 15 anni. Lei capisce bene: che significa collaborare? Per esempio, recarsi lì per un soggiorno di studi? Significa per esempio rilasciare un’intervista a favore di questa o quella autorità? È una norma molto ambigua e che è stata definita appunto “lex Tusk”, mira cioè a colpire colui il quale probabilmente sarà in grado di compattare l’opposizione e di favorire un ricambio al governo. Liberticida perché si comprimono i diritti individuali e si fa un uso politico della giustizia che sembra davvero una traccia del passato, il passato comunista e stalinista che utilizzava l’autorità giudiziaria per colpire dissidenti e oppositori. Tutto questo non ha che fare con lo Stato di diritto, ma non solo perché lo dico io, lo dicono anche autorevoli, autorevolissimi costituzionalisti di ogni orientamento politico.
A questa legge si sono dichiarati contrari anche i due Nobel polacchi, gli unici due Nobel che ci sono in Polonia: Lech Wałęsa, Nobel 1983 per la pace e Olga Tokarczuk per la letteratura. Ma buona parte della società civile soprattutto nelle grandi città è schierata contro quest’ultimo provvedimento che allontana sempre di più la Polonia dal solco della liberaldemocrazia europea.
E.C.: Lei ha parlato di Tusk e quindi della possibilità che questa legge sia appunto ad personam proprio contro di lui, per invalidare la sua candidatura. In questo senso, quali partiti si oppongono al partito di Kaczyński? Esiste una possibilità di alleanza in vista delle elezioni?
D.S.: La domanda è molto puntuale: nel senso che il problema vero è questo, se ci sarà da parte di Tusk o di altri la capacità di compattare questo largo fronte molto variegato al suo interno contrario almeno sulla carta al governo nazionalpopulista di Diritto e Giustizia. Si tratta di forze molto variegate, di ispirazione prevalentemente post-politica, ormai slegate dalle grandi narrazioni ideologiche del passato, in cui, per esempio, la sinistra ha un ruolo del tutto marginale a favore di altri cartelli elettorali incentrati su questo o quel leader di ispirazione liberale e soprattutto di centrodestra. Queste forze, accanto al vecchio “partito dei contadini”, come viene definito anche in Italia, cioè il Partito Popolare, il partito più antico esistente in Polonia che è rappresentato in Parlamento, dovrebbero riunirsi per fare fronte comune. Ma tutto questo è ancora sulla carta: non c’è nessuna iniziativa concreta né di tipo programmatico né di tipo più largamente politico che sembra andare in questa direzione.
E.C.: Come si pone il partito di governo di fronte alla competizione?
D.S.: In questo momento Diritto e Giustizia vola nei sondaggi. Sono tornato da poco dalla Polonia e un paio di settimane fa ho sentito in televisione il vero capo di Diritto e giustizia, Jarosław Kaczyński, proclamare gli 800 zloty che si danno per ogni figlio, circa 200€ per ogni bambino, con un aumento di 300 zloty, che nella Polonia rurale sono tanti soldi, per essere chiari; e soprattutto la quattordicesima. Questa redistribuzione di risorse indebita lo Stato e fa crescere l’inflazione che ormai è intorno al 20% in Polonia, ha tuttavia delle ricadute sul piano politico da non sottovalutare. Il vero zoccolo duro di Diritto e giustizia che appunto si trova nelle campagne, in quello che possiamo definire il largo universo degli ‘svantaggiati’ della trasformazione di tipo liberale, negli anni di campagne anti-immigrati. Gli ‘svantaggiati’ guardano a questo Governo come una speranza. E il partito Diritto e Giustizia oggi è saldamente il primo partito e stacca il secondo, il partito di Tusk, di almeno nove punti.
E.C.: Tornando sulle questioni europee, nel 2015 la Commissione ha contestato al Governo polacco la violazione dell’articolo 7 del TUE. Perché? Come si è svolta la controversia?
D.S.: La storia del braccio di ferro tra l’Unione europea e la maggioranza nazionalpopulista dal 2015 – e quindi della prima elezione dell’attuale Presidente della Repubblica Andrzej Duda fino ai giorni nostri, è una storia che è costellata di continui ‘stop and go’, si potrebbe dire: perché da una parte i polacchi rivendicano il loro appartenere alla tradizione europea per aver aderito pubblicamente all’Unione europea come progetto politico; dall’altra parte hanno sempre rimarcato la loro sovranità. In altri termini, in Europa in questo momento si scontrano due visioni: quella che dovrebbe essere la strada verso l’Europa federale e quella, in questo momento direi quasi maggioritaria, che vede invece l’Europa quale camera di compensazione dei vari Stati nazionali o comunque l’Europa delle nazioni. E quindi non un’istituzione sovrana ma un’istituzione parallela a quella che sono gli Stati sovrani. Da questo punto di vista il Governo polacco in maggioranza ha continuato a muoversi rivendicando le proprie peculiarità dal punto di vista giuridico e dal punto di vista politico, tutte incentrate sul primato del diritto della nazione sul diritto individuale.
E.C.: Cosa significa?
D.S.: Significa che la nazione per esistere deve comprimere e limitare quelli che sono i diritti individuali per difendere l’unità nazionale. Se si parla di aborto, come sta avvenendo e come probabilmente avverrà in Polonia, lo si fa in base a un’idea di identità nazionale di tipo clericale e nazionalista. Dall’altra parte, per quello che riguarda i rapporti tra potere esecutivo e potere giudiziario, l’oggetto principale del contendere con l’Ue, cioè l’istituzione che mette sotto controllo l’operato dei magistrati e che è nelle mani del ministro della Giustizia Ziobro, rappresentante dell’ala più radicale del governo di Diritto e Giustizia, significa in altri termini alterare l’equilibrio di potere di tipo liberale in base alla maggioranza che rappresenterebbe la nazione e quindi il diritto della nazione che deve prevalere ancora una volta sui modelli istituzionali di tipo occidentale.
E.C Come si pone il governo polacco nei confronti dell’Ue oggi?
L’attuale governo ha a cuore una battaglia ideologica, cioè ridefinire il profilo dell’Ue. In questo momento è erede delle tradizioni del passato, dal punto di vista storico nasce sulle ceneri dei nazionalismi e il suo mito fondativo probabilmente è la Shoah. Dal settembre 2019 sappiamo che i totalitarismi al Parlamento europeo sono stati parificati, quindi nazismo e comunismo pari sono, ma soprattutto significa che la vera vittima dei totalitarismi del ‘900 è la Polonia, che rivendica anche qui un ruolo importante e nell’UE e sul piano delle sanzioni nei confronti della Germania. Sono note le prese di posizioni anche recenti da parte del governo polacco che chiede riparazioni per i misfatti della seconda guerra mondiale e per l’invasione di Hitler del ’39 e via di questo passo. Come si può notare tutto si tiene da un punto di vista ideologico e c’è da dire che questo governo tra i mille difetti che si possono evidenziare e che vanno da scivoloni soprattutto sull’affaire Pegasus, ovvero l’aver messo sotto controllo alcuni personaggi politici e magistrati con un apparato comprato dai servizi segreti israeliani, per cui è successo uno scandalo alcuni mesi fa, mantiene comunque la barra dritta. La barra dritta è quella che vede un governo nazionalista, autenticamente e coerentemente nazionalista, battersi su diversi fronti. La guerra naturalmente ha cambiato le carte in tavola e ha dato maggior peso politico, geopolitico, e anche economico direi, alla Polonia che oggi è uno degli stati più importanti d’Europa.
Daniele Stasi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Foggia. Ha vissuto molti anni in Polonia, dove ha lavorato in diverse università. Di recente è stato visiting professor all’università di Varsavia. Si occupa di nazionalismi e delle politiche dell’800/900
Foto di copertina EPA/PAWEL SUPERNAK POLAND OUT