L’ora della verità si avvicina per Donald Trump: una delle tante ore della verità (giudiziarie) che lo attendono. Probabilmente quella meno politicamente significativa, anche se indicativa dei comportamenti umani e morali del magnate ex presidente è in programma oggi, lunedì 13 marzo. L’ex avvocato personale di Trump, Michael Cohen (uno che gli ‘risolveva i problemi’ come il Mr Wolf di Pulp Fiction) testimonierà davanti a un Grand Jury, a Manhattan.
La vicenda Stormy Daniels
L’inchiesta, che va avanti da cinque anni, si riferisce al fatto che, durante la campagna elettorale 2016, Cohen comprò il silenzio della pornostar Stormy Daniels, al secolo Stephanie Clifford, versandole in nero 130 mila dollari perché tacesse su una storia avuta con Trump nel 2006, quando il magnate ancora non pensava di entrare in politica, ma era appena sposato con Melania, già incinta del loro figlio Barron.
La pornostar fu pagata da Cohen per evitare che il gossip, esplodendo, compromettesse le chances di Trump. Il legale venne poi rimborsato a elezioni vinte, dopo che il magnate s’era ormai insediato alla Casa Bianca. Per quella vicenda, l’avvocato paraninfo è stato condannato a tre anni di carcere ed è stato radiato dall’albo. Stormy si affidò a Michael Avenatti, un legale dei ‘ricchi e famosi’ – soprattutto ricchi -, poi arrestato e condannato nel 2020 per una tentata estorsione alla Nike.
Sesso e soldi, 6 gennaio e documenti sottratti
Trump è stato invitato a testimoniare di fronte al Grand Jury, ma non lo farà. La vecchia storia un po’ squallida e molto triviale tra il magnate e la pornostar, tutta sesso e soldi senza ‘romance’, può essere la buccia di banana su cui vanno a gambe all’aria le sue ambizioni di terza nomination repubblicana: più che le manovre per rovesciare i risultati delle elezioni del 2020 e le incitazioni alla sommossa del 6 gennaio 2021, su cui indagano inquirenti federali e dello Stato della Georgia; più che la questione dei documenti riservati sottratti agli Archivi Nazionali, che si è scoperto essere mal comune agli ex inquilini della Casa Bianca, anche se Trump lo fece consapevolmente; più che le indagini sulle pratiche fiscali e amministrative della Trump Organization, la holding di famiglia, su cui è stato aperto un fascicolo a New York.
Si tratta di un momento complicato per il magnate ex presidente. Fox News, il canale ‘all news’ che lo spalleggiò nel 2016 e durante tutta la sua presidenza, è nella bufera per averlo sostenuto anche quando sapeva che stava dando informazioni false.
Ma Trump non si preoccupa e tira dritto. Sabato 4 marzo, a una convention dei conservatori, la Cpac, ha parlato della guerra della Russia all’Ucraina: “Vi metterò fine in un giorno”, appena “sarà tornato presidente” e “ridurrò a miti consigli” il presidente russo Vladimir Putin.
Parlando ai suoi fans, Trump ha affermato che “siamo nel periodo più pericoloso della nostra storia”; ma – ha assicurato – “io eviterò” una nuova guerra mondiale. E a chi gli rimprovera di essere stato troppo amico di Putin durante la sua presidenza, senza peraltro esserne ricambiato, ribatte: “Sono stato l’unico presidente a non fare guerre; e durante il mio mandato la Russia non ha preso alcun Paese”, mentre Mosca attaccò la Georgia con George W. Bush, annesse la Crimea con Barack Obama e ha ora invaso l’Ucraina con Joe Biden. Con lui presidente, “non sarebbe mai successo”.
La corsa alla nomination per la Casa Bianca
Come farà a porre termine al conflitto in un giorno, Trump non lo dice. Invece, ha un piano radicale per le relazioni con la Cina, ammesso che sia fattibile: eliminare in quattro anni tutto l’import cinese e rendere gli Usa totalmente indipendenti dai prodotti cinesi. Paiono smargiassate, ma il pubblico della Cpac apprezza: per la nomination repubblicana, Trump ha il 62% delle preferenze, ben davanti al governatore della Florida Ron DeSantis al 20%, all’uomo d’affari Perry Johnson (5%), all’ex rappresentante degli Usa all’Onu Nikki Haley (3%), al magnate del biotech Vivek Ramaswamy ed ai senatori Ted Cruz e Rand Paul e all’ex segretario di Stato Mike Pompeo, tutti all’1%. Non c’è traccia dell’ex vice di Trump Mike Pence, inviso ai conservatori perché ‘tradì’ il presidente nell’ora della sommossa.
Sulla carta, DeSantis è il principale rivale, anche se non ha ancora annunciato la sua candidatura e ha quasi snobbato la Cpac. La Haley è già scesa in campo, così come Ramaswamy, che si presenta come il padre del movimento contro l’anti-razzismo. L’imprenditore descrive la sua campagna come “una vasta controffensiva” nei confronti della cultura ‘woke’, ovvero il movimento per il risveglio e anti-razzista. “Per mettere l’America al primo posto, dobbiamo riscoprire che cos’è l’America”, scrive Ramaswamy, autore di un best seller negli Stati Uniti, in un editoriale sul Wall Street Journal attaccando anche la retorica di Trump.
Il ‘divorzio nazionale’
Fra i repubblicani, ci si aspetta una ridda di pretendenti alla nomination: il che favorirebbe Trump, che ha una base di consenso solida. Secondo un sondaggio fatto da Rasmussen Reports, un terzo degli americani vuole il ‘divorzio nazionale‘ propugnato dalla deputata della Georgia, trumpiana, cospirazionista e negazionista del Covid, Marjorie Taylor Greene. Il ‘divorzio nazionale’ sarebbe una nuova secessione, questa volta incruenta, degli Stati rossi, repubblicani, da quelli blu, democratici. Il 47% degli elettori repubblicani, e un terzo degli americani, risulta favorevole; il 57% degli americani è contrario.
La fiducia di Biden
Del presidente Joe Biden, Trump dice: “Lo cacceremo” dalla Casa Bianca. E attacca l’establishment del partito, i falsi repubblicani e i repubblicani dell’America dei Bush. “Siamo un Paese in declino – dice-, ma non saremo mai un Paese socialista”, denunciando l’emergenza immigrati.
Biden deve ancora annunciare ufficialmente la sua ricandidatura, ma gli analisti dicono che “trasuda fiducia” e che scenderà presto in lizza. In un’intervista alla Ap, la first lady Jill Biden dice apertamente che il marito punta a un secondo mandato.
Il presidente, operato a metà febbraio per rimuovere un tumore della pelle – “Tutto sotto controllo”, assicurano i medici, è alle prese con le priorità dell’Amministrazione: il tetto del debito, sul cui sforamento negozia con i repubblicani; i diritti di voto alle minoranze – per difenderli, è di recente andato a Selma, nell’anniversario delle marce anti-segregazione del 1965 -; e la guerra in Ucraina, su cui il sostegno dell’opinione pubblica va calando.
La ricandidatura di Biden incontra fievoli resistenze in campo democratico. Nel New Hampshire e nello Iowa, c’è chi gli rimprovera di avere cambiato il calendario delle primarie, riducendone l’importanza come ‘apripista’ – nel 2024, lo farà la South Carolina. Dei potenziali avversari, solo la scrittrice Marianne Williamson, 70 anni, si è già fatta avanti – ci provò anche nel 2020, senza alcun successo: leader spirituale e frequente ospite di Oprah Winfrey, la Williamson si batte contro “l’allontanamento dei democratici dal partito del presidente Franklin Delano Roosevelt” e contro “le ingiustizie economiche subite da milioni di americani a causa dell’influenza del denaro delle grandi aziende sul nostro sistema politico”. “L’avversario – spiega – è la mentalità economica che mantiene la presa su questo Paese da 50 anni”.
Non si possono invece ritenere avversari di Biden credibili Jerome Segal, un ricercatore candidato alla presidenza dal Bread and Roses Party, e Robert F. Kennedy Jr., avvocato ambientalista e pure attivista ‘no vax’.
Foto di copertina EPA/JIM LO SCALZO