“Da che parte starebbe Simón Bolívar in questa guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina? Con chi starebbe José de San Martín?”. Era ottobre 2022, e il presidente Ucraino Volodymyr Zelensky arringava i leader latinoamericani riuniti nell’assemblea generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS). Con l’evocazione dei libertadores delle guerre d’indipendenza, il presidente ucraino tentava di spezzare l’immobilismo dell’intero continente sudamericano rispetto alla guerra che sta cambiando l’ordine globale.
A un anno dal primo missile lanciato sull’Ucraina, l’America Latina resta ‘attivamente non allineata’. A inizio 2023 gli Stati Uniti avevano fatto arrivare sui tavoli dei presidenti latinoamericani una proposta: spedite in Ucraina le vostre armi comprate dai Sovietici durante la Guerra Fredda, noi rinnoviamo gli arsenali con equipaggiamento americano “superiore”. Nello stesso periodo, durante la sua missione diplomatica nel Cono Sud, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva chiesto ai presidenti di Argentina, Brasile e Cile carri armati e munizioni per i cannoni tedeschi di contraerea sul fronte ucraino. Ma i governi dell’America Latina hanno risposto all’unisono: “Siamo per la pace”.
La ‘via’ latinoamericana
Il presidente colombiano Gustavo Petro non vuole “prolungare” il conflitto inviando armi, il governo argentino si rifiuta di “cooperare con una guerra in Europa”. Lula da Silva, neoeletto in Brasile, ha spiegato che Russia e Ucraina non stanno facendo nulla per fermare il conflitto. Da un anno a questa parte le reazioni dei governi latinoamericani alla guerra in Ucraina hanno fatto discutere.
Tutti i Paesi del continente hanno condannato l’invasione della Russia, in linea con la tradizione diplomatica della regione, che difende i principi di autodeterminazione e non-intervento nei fori internazionali. Questo non ha impedito ai governanti dallo Yucatán alla Patagonia di scontrarsi con l’occidente sulla natura e sulla soluzione del conflitto. I regimi di Cuba, Venezuela e Nicaragua continuano a sostenere i loro alleati russi,vedendo in Putin un legittimo oppositore dell’espansione ‘imperialista’ della Nato.
A questo schieramento ammiccano la Bolivia e El Salvador, unici altri paesi latinoamericani ad astenersi nell’ultima risoluzione Onu perché la Russia ritirasse le truppe dai territori ucraini. Gli altri si considerano invece “equidistanti”. Alcuni più energicamente di altri (su tutti il Messico di López Obrador) criticano la strategia occidentale di inviare armi in Ucraina, propendendo per risolvere il conflitto con una trattativa diplomatica. Se Obrador aveva presentato all’Onu un piano di pace criticato dagli ucraini, un nuovo tentativo di Lula di formare un gruppo di mediazione con Cina, India e Indonesia è stato preso in considerazione dal governo russo.
Ma ad emergere recentemente è stata la posizione di quei paesi, come la Colombia formalmente partner Nato, che considerano la guerra di secondo piano rispetto ad altri problemi (spesso dirette conseguenze), come l’inflazione e le crisi energetica e alimentare. Persino il fronte dei ‘pacifisti’ italiani ha preso Lula e i colleghi della nuova ‘marea rosa’ come modello che vorrebbe più diplomazia e meno armi. Ma le motivazioni dietro il posizionamento dei governi dell’America Latina tra Kyiv e Mosca, e soprattutto Washington e Pechino, sono molteplici, complesse e strettamente legate agli interessi del continente.
L’impatto della guerra
Per i paesi dell’America Latina, il principale impatto della guerra è arrivato dalle sanzioni economiche imposte dal G7, ratificate solo dalla Costa Rica. Le restrizioni commerciali con la Russia hanno prodotto un aumento i prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia a livello globale. Con l’economia in peggioramento, nel 2022 i paesi latinoamericani hanno continuato a commerciare con la Russia, in particolare importando fertilizzanti, di cui Brasile, Perù e Messico sono dipendenti per le loro produzioni agricole. Le sanzioni sono vissute in America Latina come imposizioni dell’occidente.
Quest’estate il blocco commerciale del Mercosur ha rifiutato la richiesta di Zelensky di parlare al loro summit. I sondaggi mostrano come i cittadini latinoamericani non vogliano aiutare l’Ucraina data la crisi economica nei loro paesi. Assieme ai loro governi, hanno forti interessi perché la guerra finisca il prima possibile “indipendentemente da vincitori e vinti”, come ha dichiarato la vicepresidente colombiana Francia Márquez.
Supportati dagli interessi economici, i governi dell’America Latina starebbero così ritornando verso il posizionamento geopolitico di ‘non-allineamento attivo’: non schierarsi, evitare di dover prendere le parti di Mosca, Washington o Pechino, ma basare le proprie politiche estere sui singoli interessi nazionali. Come si è visto anche durante la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno provato a estendere ai paesi del sud globale la loro lotta per i valori democratici e umanitari contro il “neocolonialismo imperialista” di Putin. L’America Latina continua però a vederla come una guerra europea.
Non allineamento e interessi domestici
Che ruolo potrà giocare questa nuova ‘marea rosa’ latinoamericana nella guerra in Ucraina? Molto dipenderà da Lula, se i suoi sforzi per riportare il Brasile al centro delle questioni globali andranno fino in fondo, e se il resto del continente gli lascerà prendere le redini. La prima data utile sarà il 28 marzo, quando visiterà l’omologo cinese Xi Jinping, che con la sua “proposta di pace” ha esposto la posizione cinese sul conflitto.
Se la guerra andrà avanti, nel 2024 a giocare un ruolo cruciale sarà il Venezuela al ritorno al voto, dove Stati Uniti e Russia hanno molti interessi in ballo. Ad oggi, per ogni presidente sudamericano appoggiare la Russia è una rischiosa mossa di politica domestica. Significa allinearsi con Nicaragua, Venezuela e Cuba, tema sensibile per le opinioni pubbliche. In più, le posizioni di Russia e Stati Uniti in Ucraina riportano in vita i fantasmi della Guerra Fredda, quando Washington era considerato egemone imperialista in America Latina.
Questo antiamericanismo è tutt’oggi parte integrante dello spettro politico latinoamericano, e leader come Lula, Petro e Obrador perderebbero grandi consensi cambiando posizione sulla guerra. L’unico spiraglio a spezzare il non-allineamento attivo lo lascia intravedere il presidente cileno Gabriel Boric, unico rumoroso critico delle tre autocrazie filorusse in America Latina, e da tempo allineato con l’agenda Biden. Tormentato dai problemi domestici che gli impediscono di prendere le redini della regione, Boric ha ricordato il 24 febbraio mandando la sua solidarietà (ma non le armi) agli ucraini. Ha twittato, con in mano una pagina di John Donne: “E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.
Foto di copertina EPA/ANDREW HARRER / POOL