La capacità di dissuasione che la Russia è in grado di esercitare grazie al suo potente arsenale nucleare ha avuto sin dall’inizio un ruolo di grande importanza strategica nella guerra in Ucraina.
I leader delle Nato, a partire da Joe Biden, hanno più e più volte motivato la scelta di non intervenire direttamente – impiegando, per esempio, proprie truppe o aerei – con la volontà di evitare una “terza guerra mondiale”, espressione in codice per un conflitto nucleare. Per questa ragione hanno fra l’altro respinto senza esitazioni, all’inizio dell’invasione russa, l’accorata richiesta di Zelensky di istituire una “no-fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Da questo punto di vista, la minaccia di Mosca di ricorrere all’arma atomica ha finora funzionato. I leader del Cremlino evocano ossessivamente l’uso del nucleare con l’obiettivo, in primo luogo, di rinnovare quest’effetto dissuasivo nei confronti di un impegno diretto della Nato.
Sanzioni e minacce del Cremlino
Quando però Putin, subito dopo l’inizio dell’invasione, mise in stato d’allerta le armi nucleari mirava dichiaratamente anche ad altro: evitare un inasprimento delle sanzioni, in particolare sui prodotti energetici, e un progressivo incremento del sostegno militare all’Ucraina. Su questo fronte la deterrenza nucleare russa non ha avuto l’effetto desiderato, o lo ha avuto solo parzialmente: i Paesi occidentali non hanno sostanzialmente ceduto né sulle sanzioni né sull’invio di armi, anche se continuano a non accogliere alcune richieste di aiuto militare dell’Ucraina per timore, fra l’altro, di un’escalation che possa portare a un confronto militare diretto con Mosca.
Agitare lo spettro dell’arma nucleare ha, beninteso, anche l’intento di spaventare le opinioni pubbliche occidentali. In effetti, in alcuni Paesi, come l’Italia, il consenso per l’invio di armi a Kyiv è significativamente diminuito. Non si notano tuttavia ripensamenti nei governi occidentali e anche l’ampio schieramento pro-Ucraina del “formato Ramstein” non ha registrato defezioni, si è anzi consolidato.
La minaccia russa, più o meno esplicita, di un uso del nucleare in risposta alle forniture di armi a Kyiv non ha trovato credito nei paesi Nato, che lo hanno di fatto trattato alla stregua di un bluff. Washington ha risposto con estrema cautela all’allerta nucleare russa e agli altri gesti muscolari del Cremlino, come le esercitazioni nucleari in Bielorussia, ma ha al contempo intensificato il sostegno militare a Kyiv, così come gli alleati della Nato. Putin voleva certamente intimidire gli ucraini, ma ha fallito anche in questo obiettivo: il sostegno popolare per la guerra di liberazione dalle truppe russe rimane molto solido.
Cresce l’allarme nucleare
Tuttavia, l’allarme per il rischio nucleare è significativamente cresciuto negli ultimi mesi. All’annuncio dell’allerta nucleare russa Biden aveva dichiarato di non essere preoccupato dalla prospettiva di una guerra nucleare; più di recente ha ammesso invece che il mondo è vicino all’apocalisse nucleare più di quanto non lo sia stato dalla crisi dei missili di Cuba. Oscillazioni retoriche, si dirà, tipiche dell’attuale presidente americano, ma c’è dell’altro.
Il fatto è che Putin si è messo da solo in un angolo, con una serie di decisioni, foriere di gravi conseguenze, che hanno progressivamente ridotto le opzioni strategiche a sua disposizione. Due in particolare: la mobilitazione su più larga scala di riservisti e altri effettivi, che ha segnato un passo decisivo verso un’escalation che appare senza ritorno; l’annessione alla Russia di quattro regioni ucraine occupate, che ha messo la pietra tombale su ogni realistica prospettiva di una soluzione negoziale. In tal modo, Putin non può puntare che su una vittoria militare. Si è infatti preclusa ogni via d’uscita in caso di nuovi rovesci militari o di uno stallo prolungato che provochi contraccolpi in Russia, indebolendo la sua leadership.
In questo contesto il pericolo nucleare si è fatto più concreto. Messo ancor più alle strette, il capo del Cremlino potrebbe ricorrere all’arma nucleare, vuoi per contrastare una controffensiva ucraina con ordigni tattici, vuoi per segnalare, per esempio con un test nucleare dimostrativo, la determinazione ad andare avanti fino alle estreme conseguenze.
Scenari che rimangono improbabili per le ragioni più volte illustrate su AffarInternazionali – la molto dubbia utilità militare delle armi nucleari tattiche e il sicuro effetto boomerang per Mosca sul piano politico, di qualsivoglia azione che infranga il tabù nucleare – ma che non possono essere trattati alla leggera. Gli Usa hanno minacciato “conseguenze catastrofiche” in caso di ricorso di Mosca al nucleare, senza, per ovvie ragioni di ambiguità strategica, precisarle. Ma, per sventare questo rischio, fondamentale rimane soprattutto la coesione occidentale nel sostegno all’Ucraina. Questa è stata e rimane di gran lunga l’arma di dissuasione più efficace nei confronti di Putin.
Foto di copertina EPA/MIKHAIL METZEL/KREMLIN / POOL MANDATORY CREDIT