Se il 2020 era stato l’anno del Covid e della crisi globale provocata dalla pandemia, e il 2021 era stato l’anno della parziale normalizzazione e della ripresa, il 2022 è stato soprattutto l’anno del conflitto in Ucraina. Per vari motivi, infatti, l’aggressione russa all’Ucraina – con l’avvio di un conflitto armato nel cuore dell’Europa, che dura da più di dieci mesi e non sembra destinato ad una rapida conclusione – appare come l’evento maggiormente destinato a connotare il contesto internazionale.
Ucraina: le radici del caos
Il conflitto in Ucraina viene da lontano, ed era stato in qualche modo annunciato da varie prese di posizione pubbliche di Putin, almeno a partire dal 2007. Eravamo consapevoli che il presidente russo considerava un’Ucraina autenticamente autonoma, indipendente e al di fuori dal controllo della Russia, come una inaccettabile minaccia alla sicurezza della Russia. E che per Putin l’Ucraina avrebbe dovuto tornare nella sfera di influenza di Mosca, in un contesto di revisione dell’ordine internazionale unipolare (inaccettabile per la Russia) emerso dalla fine della guerra fredda.
Ma non ci aspettavamo che Putin potesse invadere un Paese indipendente e sovrano come si usava nel secolo scorso. Invece con l’aggressione iniziata il 24 Febbraio Putin ha dato concretezza al suo disegno mirato a “riconquistare” l’Ucraina, e a riscattare una presunta sconfitta della Russia, risultato del crollo dell’Urss e della fine della guerra fredda. Non a caso, nella narrazione di Putin, la guerra all’Ucraina si è trasformata da operazione resa necessaria dalla necessità di garantire la sicurezza della Federazione russa ad un episodio del più generale confronto-scontro della Russia contro l’Occidente, mirato a contestare la leadership mondiale degli Usa, e a rilanciare il ruolo della Russia sulla scena internazionale.
In realtà la guerra all’Ucraina si è rivelata un clamoroso fallimento, che ha rivelato incredibili debolezze degli apparati militari e di intelligence di un regime autocratico e totalitario, e che provocato costi economici, sociali e reputazionali enormi per la Russia. Come confermato dalla circostanza che, dopo dieci mesi di guerra, appare problematico fare previsioni sulla sua conclusione.
Difficile ipotizzare un’intesa sulla sospensione delle ostilità, che al momento non converrebbe né a Zelensky, perché congelerebbe l’occupazione da parte della Russia di circa un quinto del territorio dell’Ucraina, né a Putin che sembra intenzionato a proseguire nell’offensiva fino ad ottenere una sorta di resa senza condizioni. E ancor meno verosimile appare allo stato attuale la prospettiva di un accordo stabile e duraturo fra Mosca e Kyiv, perché troppo distanti sono le posizioni rispettive sulla questione del futuro assetto dell’Ucraina. Con la conseguenza che lo scenario più verosimile appare quello di un conflitto a minore intensità destinato a durare a lungo, o di un congelamento della situazione sul terreno, magari accompagnato da una sospensione di fatto delle ostilità.
L’Occidente unito contro Putin
L’Occidente ha reagito rapidamente e in modo compatto all’invasione russa dell’Ucraina. Ha condannato la decisione del Cremlino senza distinzioni o condizioni, ha adottato importanti sanzioni nei confronti della Russia, ha deciso di fornire all’Ucraina aggredita piena solidarietà politica e tutta l’assistenza necessaria per resistere all’aggressione russa, senza peraltro lasciarsi coinvolgere direttamente nel conflitto. L’ Occidente non è però riuscito a coinvolgere su questa linea altri importanti protagonisti sulla scena internazionale, che hanno preferito evitare di condannare l’iniziativa della Russia, se non addirittura manifestare solidarietà a Putin.
L’Unione europea, in piena intesa con l’alleato americano, e grazie ad una capacità di risposta inattesa e sorprendente date la diversità delle sensibilità nazionali sul tema dei rapporti con la Russia, è stata tempestiva e unita nel condannare l’aggressione russa. Gli Stati membri hanno adottato misure sanzionatorie nei confronti di Mosca in larga misura convergenti con quelle decise dagli Usa, e ha fornito assistenza all’Ucraina con aiuti umanitari, economici, finanziari e con la messa a disposizione di armi e munizioni.
Ma la guerra in Ucraina ha anche costretto la Ue a fare i conti con alcune debolezze strutturali, che erano sicuramente note prima di questa crisi, ma che sono emerse in tutta la loro evidenza grazie alle lezioni della guerra. E ha stimolato l’Europa a individuare alcune linee strategiche di azione, che corrispondono all’obiettivo di affrontare altrettante criticità europee, e contribuire a dare sostanza all’obiettivo dell’autonomia strategica della Ue, e a riaffermare l’ambizione per un ruolo geo-politico dell’Europa, che ancora stenta a manifestarsi.
Ue: strategie comuni insufficienti
In estrema sintesi la crisi provocata dalla aggressione russa all’Ucraina ha reso evidente la necessità di rivedere la strategia energetica della Ue, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili importate dalla Russia fino alla loro totale eliminazione; di rafforzare la resilienza e l’autonomia di alcuni settori essenziali dell’economia europea realizzando capacità produttive autonome per taluni materiali e tecnologie critiche e comunque riducendo progressivamente la dipendenza dall’estero; di accelerare il processo di rafforzamento delle capacità della Ue nel campo della sicurezza e della difesa.
Va però riconosciuto che se la direzione di marcia è quella corretta, le prime risposte della Ue sono ancora parziali e insufficienti. E che resta ancora molta strada da fare per dare sostanza e contenuto all’obiettivo della autonomia strategica dell’Europa. Difficile però essere ottimisti se si considerano le differenze di sensibilità fra i Paesi membri e le complessità della presente congiuntura economica e politica quadro internazionale
Sul fronte dell’economia il quadro è caratterizzato da numerosi fattori di criticità: aumenti dei prezzi delle fonti di energia e delle materie prime, frammentazione delle catene globali del valore, livelli di inflazione a due cifre, politiche monetarie complessivamente restrittive praticate dalle maggiori Banche Centrali, debiti pubblici arrivati a livelli di guardia che riducono i margini di manovra per politiche fiscali espansive, e un rischio diffuso di stagnazione delle maggiori economie.
‘Global south’, clima e autoritarismo
E il quadro politico resta ugualmente caratterizzato da vari fattori di instabilità. La competizione fra Usa e Cina, solo apparentemente relegata in secondo piano dal conflitto in Ucraina, e finora gestita in modo tale da evitare lo scontro aperto, sembra destinata a rimanere il dato più significativo del contesto mondiale.
La guerra in Ucraina ha poi fatto emergere un “Global South” orientato a prendere le distanze dall’Occidente e dai modelli di democrazia liberale praticati dall’Occidente, in nome di una nuova solidarietà fra Paesi che si contrappongono alle democrazie occidentali, cui rimproverano errori pregressi e incomprensioni dei reali problemi di quella parte del mondo.
Le varie crisi regionali, a partire da quelle che caratterizzano il Mediterraneo e il Medio Oriente, sono ancora dove le avevamo lasciate prima del Covid e prima della guerra in Ucraina, con l’aggravante che in numerosi Paesi della regione stiamo assistendo a pericolose involuzioni autoritarie. Gli impegni assunti in materia di contrasto del cambiamento climatico hanno subito battute d’arresto e sembrano complessivamente avere perso di slancio. Ed in attesa che si manifestino nuove pandemie, il Covid resta una minaccia globale sia pure ad intensità ridotta, come testimoniato dall’evoluzione della pandemia in Cina.
Foto di copertina EPA/MICHAEL REYNOLDS