La legge 185 del 1990, con cui l’Italia ha istituito tardivamente un vero controllo sulle esportazioni militari, ha subito solo tre limitati cambiamenti in più di trenta anni: il primo, casuale e passato inosservato, nel 1993, con cui è stato incautamente cancellato il Comitato interministeriale presieduto dal presidente del Consiglio dei ministri che doveva definire le linee guida della nostra politica esportativa; il secondo nel 2003, con cui si è adeguata la normativa agli impegni assunti con l’Accordo di Farnborough del 2000 volto a favorire l’integrazione dei mercati della difesa dei sei maggiori paesi europei; il terzo nel 2012, con cui si è recepita la direttiva europea 2009/81 volta a semplificare il trasferimento dei prodotti militari all’interno dell’Unione Europea. Di fatto, la direttiva ha seppellito l’Accordo di Farnborough, ma con una forma di accanimento terapeutico-giuridico, il nostro paese lo mantiene artificialmente in vita nella nostra legislazione.
I vuoti da colmare
Poco o niente è quindi cambiato per le cinque maggiori criticità e limiti della legge che sono risultati evidenti fin dai primi anni, come hanno testimoniato i numerosi tentativi di adeguare la normativa, istituendo gruppi di lavoro interministeriali presso la presidenza del Consiglio e arrivando ad approvare nel 2000 un disegno di legge di riforma da parte del governo di maggioranza di sinistra-centro.
1 Ruolo del governo e del parlamento.
La responsabilità di definire le linee guida della nostra politica di esportazione dovrebbe risalire (come negli altri principali paesi europei) al governo e, quindi, essere guidata dal presidente del Consiglio, eventualmente anche attraverso una delega. Le scelte strategiche coinvolgono molteplici aspetti, non solo quelli di politica internazionale: economici, finanziari, industriali, tecnologici, militari. Devono, quindi, essere collegiali e ad alto livello. Invece, oggi la responsabilità anche giuridica è lasciata sulle spalle dei dirigenti pubblici. Il Parlamento dovrebbe essere informato sulle direttrici delle nostre esportazioni militari e non, come ora, ubriacato con relazioni tanto voluminose quanto inutili, contenenti migliaia di dati di difficilissima lettura.
L’attuale legge è, però, talmente rigida e dettagliata nelle sue previsioni che solo una modifica legislativa consentirebbe di modificare l’attuale Relazione annuale. Il controllo parlamentare sulle decisioni governative è un caposaldo della democrazia parlamentare: per esercitarlo servono informazioni più di qualità che in quantità.
2 Programmi di cooperazione intergovernativa
Quando la legge è stata pensata eravamo agli albori dei programmi di cooperazione intergovernativa a livello europeo e internazionale e nessuno se ne era preoccupato. Già solo dopo sei anni il Governo era costretto a farsi carico degli ostacoli che impedivano un’efficace gestione amministrativa e operativa di questi programmi che comportavano un continuo flusso di parti e apparati fra i paesi partecipanti. In trent’anni gran parte dei sistemi di difesa destinati alle nostre Forze Armate sono stati sviluppati e prodotti attraverso questi programmi che, secondo un minimo di buon senso, dovrebbero essere assoggettati a forme di controllo molto leggere lasciate in capo al Ministero della Difesa (che li commissiona e li finanzia) e richiedere uno specifico esame solo se destinati a paesi terzi.
3 Internazionalizzazione dell’industria
Di fronte a un mercato della difesa che diventa necessariamente sempre più europeo, lo stesso deve avvenire anche per l’industria. E in parte è già avvenuto: tutti i principali gruppi europei sono ormai multinazionali, avendo specifiche attività in diversi paesi. Solo in parte sono transnazionali perché non tutti e non sempre gli Stati membri accettano la riorganizzazione delle capacità industriali secondo la logica della specializzazione. In ogni caso le società italiane dovrebbero potersi avvalere di una corsia preferenziale per trasferire parti e componenti fra i loro stabilimenti europei (ma anche tenendo conto di quelli inglesi e americani).
4 Paesi alleati e amici
Le uniche semplificazioni sui controlli sono state introdotte dieci anni fa a favore degli Stati membri dell’Unione Europea. Ma il settore della difesa ha e deve mantenere anche una forte impronta transatlantica e ormai anche internazionale (come nel caso del nuovo programma per il velivolo da combattimento Tempest). A questi paesi alleati ed amici se ne potranno aggiungere altri, quelli che, attraverso accordi governo-governo, intendono affidarsi all’Italia per garantire la loro difesa e sicurezza. Per gestire la collaborazione politica, militare e industriale con tutti questi paesi serve una specifica normativa, diversa da quella utilizzata per le semplici esportazioni di equipaggiamenti militari.
5 Ricerca e innovazione tecnologica
Tutti i paesi democratici stanno puntando sulla ricerca e innovazione tecnologica per tutelare la loro difesa e sicurezza e contrastare i regimi che, direttamente o indirettamente, la mettono a repentaglio. Mantenere la superiorità tecnologica è un obiettivo strategico che va perseguito ad ogni costo. Le moderne tecnologie sono il risultato di uno sforzo collettivo ed indistinto e si travasano tra i diversi settori. Per favorire queste sinergie è indispensabile coinvolgere tutte le imprese, grandi e piccole, che avanzino progetti interessanti, così come i centri e gli enti di ricerca e le università. L’attuale legge consente solo alle imprese del settore difesa di essere autorizzate a trasferire prodotti militari, comprese le tecnologie che vi sono assimilate. Persino la partecipazione in corso da parte di molti soggetti ai programmi di ricerca e sviluppo finanziati dall’European Defence Fund potrebbe risultare irregolare. Non può, quindi, più essere rinviato l’adeguamento della normativa ai cambiamenti intervenuti nello scenario tecnologico.
Adeguare la normativa italiana sul controllo delle esportazioni militari è una riforma che non costa, ma che, al contrario, potrebbe avere benefici effetti sul piano politico, militare, economico e tecnologico. Dopo tanti, troppi rinvii e ritardi è giunto il momento di avviare con coraggio la modernizzazione del sistema-paese anche in questo campo. La speranza è che governo e parlamento se ne facciano carico.
Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI