Questa settimana hanno preso il via i lavori della ventisettesima Conferenza delle Parti a Sharm El-Sheik in Egitto. Soprannominata da subito come la “COP Africana”, le aspettative per questo appuntamento si sono concentrate inizialmente sulla possibilità di portare al centro delle discussioni le tematiche prioritarie per i paesi più poveri e vulnerabili al cambiamento climatico, facilitando anche una partecipazione dei delegati provenienti dal continente africano che l’anno scorso a Glasgow, complice la pandemia, era stata particolarmente scarsa sollevando questioni di rappresentatività.
L’ombra del conflitto in Ucraina su COP27
Tuttavia, l’invasione Russa in Ucraina ha modificato profondamente le priorità e l’assetto geopolitico internazionale, trasformando la COP27 di Sharm El-Sheik in un banco di prova cruciale per capire quale posizione le potenze globali prenderanno sul clima alla luce del nuovo contesto. L’ombra del conflitto in Ucraina rischia di frenare fortemente l’ambizione di questi negoziati, poiché molti paesi occidentali, stretti tra l’impennata dei prezzi dell’energia, dei tassi di interesse e il rischio di recessione, potrebbero mettere in secondo piano l’ambizione climatica.
L’Unione Europea, sul lato interno, afflitta dal caro-bollette e alle porte di una difficile stagione invernale dopo la corsa agli approvvigionamenti alternativi di gas dei mesi scorsi, ha davanti a sé una sfida molto complessa anche sul piano multilaterale. Questi negoziati infatti saranno decisivi per chiarire se l’Ue riuscirà a mantenere la propria leadership climatica globale: una scarsa ambizione giustificata dalla difficile situazione interna potrebbe minare la sua credibilità come capofila sul clima.
La presidente von der Leyen ha chiarito sin da subito, con il piano REPowerEU, la volontà di affrontare la crisi energetica generata dal confitto attraverso un’accelerazione sugli obiettivi di transazione energetica, confermando quindi il ruolo europeo anche sul piano internazionale.
Tuttavia, come diverse analisi hanno evidenziato già nei mesi scorsi, le azioni intraprese dai paesi europei per sganciarsi il più rapidamente possibile dalla dipendenza energetica russa potrebbero avere delle conseguenze negative sulla transizione energetica e il raggiungimento degli obiettivi climatici soprattutto dei paesi in via di sviluppo – già fortemente vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Per esempio, l’importanza assunta da molti paesi africani come fornitori alternativi di gas, (pensiamo al caso dell’Algeria, diventata primo fornitore di gas per l’Italia) ha sollevato delle preoccupazioni riguardo il rischio di legare il futuro di questi paesi ai combustibili fossili attraverso l’espansione del settore oil and gas per soddisfare la nuova domanda europea. Allo stesso modo, la corsa europea per assicurarsi gas naturale liquefatto (GNL) sui mercati globali rischia di creare una forte competizione che penalizza i paesi in via di sviluppo disposti a pagare prezzi più bassi, rallentando quindi potenzialmente alcuni step cruciali della loro transizione energetica come il passaggio dal carbone al gas.
Ritorna quindi il tema della contrapposizione tra paesi ricchi e nazioni più povere che domina storicamente i negoziati delle COP, in questo caso in chiave di quali ostacoli le strategie adottate dai pesi occidentali per fronteggiare la crisi causata dal conflitto possono infliggere sugli obiettivi climatici delle economie in via di sviluppo. Soprattutto per l’Unione Europea, al fine di mantenere saldo il proprio ruolo di leader climatico, sarà dunque fondamentale chiarire la sostenibilità per i paesi partner delle sue nuove strategie di approvvigionamento.
Un bilancio preventivo
In molti temono che i complessi problemi internazionali, che comprendono non solo le crisi innescate dal conflitto in Ucraina ma anche le tensioni tra USA e Cina per la questione di Taiwan, combinate con l’assenza a Sharm El-Sheik dei leader politici di Russia, Cina e India – vale a dire 3 dei 4 maggiori emettitori al mondo – impediranno sviluppi significativi a COP27.
Nonostante queste preoccupazioni, ci sono alcuni elementi positivi che potrebbero cambiare questo bilancio preventivo sulla COP di Sharm El-Sheik. Primo fra tutti, la messa in agenda per la prima volta nella storia delle COP delle “questioni riguardanti accordi di finanziamento per rispondere a perdite e danni”. Il dossier loss and damage è uno dei più spinosi e centrali, riguarda il sostegno da parte dei paesi ricchi verso i paesi più poveri per riparare alle perdite e danni causati dai cambiamenti climatici.
L’oggetto di più forte discussione è la definizione di un meccanismo di sostegno finanziario, a cui si oppongono diversi paesi ricchi tra cui soprattutto gli Stati Uniti. Una delle delusioni maggiori su cui si era conclusa COP26 l’anno scorso era proprio l’esclusione dal Glasgow Climate Pact di strumenti finanziari per perdite e danni. Quindi la decisione della presidenza egiziana di COP27, dietro richiesta di un numeroso gruppo di negoziatori, di inserire loss and damage nell’ordine del giorno dei lavori della sezione finanza (punto 8.f) è una svolta inattesa e molto significativa. Il primo di una lunga serie di incontri dei delegati su questo tema si è tenuto il 9 novembre e ha già rivelato un atteggiamento compatto e pragmatico dei paesi del sud globale che stanno alzando il livello di ambizione in modo promettente.
Questo potrebbe far ben sperare rispetto a svolte più positive di quanto pronosticato anche sugli altri dossier chiave per i paesi più fragili, quelli della finanza climatica e in particolare del sostegno finanziario alle politiche di adattamento, che rispecchierebbe le aspettative iniziali di rendere questa “COP africana” un appuntamento incentrato sulle priorità di questi paesi.
L’anno scorso riguardo la finanza climatica i risultati erano stati miti. Infatti, i paesi ricchi, dopo aver riconosciuto il fallimento nel raggiungimento dell’obiettivo concordato di trasferire ai paesi più poveri 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020, non sono riusciti a concordare misure su come raggiungere questo obiettivo rapidamente e come aumentare la percentuale dedicata all’adattamento. Un ottimo risultato per COP27 sarebbe quello di fissare un nuovo e più ambizioso obiettivo finanziario rispetto ai 100 miliardi di dollari l’anno e una data entro cui raggiungerlo.
Un altro elemento chiave da segnalare all’apertura di COP27 è il tema dell’aggiornamento degli NDCs (nationally determined contributions) i piani nazionali che definiscono gli obiettivi e le azioni per contrastare il cambiamento climatico. Il rapporto “Emission Gap Report 2022” del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) ha evidenziato come i piani nazionali presentati dopo COP26 sono fortemente inadeguati in quanto porterebbero ad un aumento delle temperature globali tra i 2.6 °C e 2.4 °C, ben oltre la soglia massima di aumento tra i 1.5 °C e 2°C concordata dall’Accordo di Parigi.
Alla luce di questo, tutti i paesi erano chiamati ad aggiornare i propri NDCs entro settembre 2022 ma solo una trentina di paesi (su 196) li hanno presentati prima dell’inizio di COP27, tuttavia c’è ancora tempo per farlo durante lo svolgimento dei negoziati. Uscire dalla conferenza di Sharm El-Sheik con un alto numero di NDC aggiornati con obiettivi ambiziosi sarebbe un altro ottimo risultato.
Infine, bisogna considerare che, anche nel caso in cui i negoziati venissero ostacolati significativamente dal difficile contesto internazionale, durante COP27 potrebbero nascere nuove partnership o nuovi paesi potrebbero supportare quelle formatesi a Glasgow. In questo caso gruppi di paesi più ambiziosi si accordano su alcuni obiettivi specifici, in parallelo ai negoziati principali, come accaduto l’anno scorso durante COP26 su vari temi tra cui la riduzione delle emissioni di metano e obiettivi per limitare la deforestazione. Questo tipo di accordi potrebbero quindi influenzare positivamente i risultati di COP27 anche in caso di uno stallo sui negoziati principali.
Foto di copertina EPA/RADEK PIETRUSZKA