Centinaia di primarie in sei mesi, due mesi di campagna elettorale, centinaia di milioni di dollari spesi. E, alla fine, dei 470 seggi in palio tra la Camera (435) e il Senato (35) solo una ventina passano di mano, dai democratici ai repubblicani e viceversa. Al Senato, in attesa del ballottaggio in Georgia a dicembre, un solo seggio cambia partito per il momento: i democratici lo conquistano in Pennsylvania, dove John Fetterman sconfigge il chirurgo Mehmet Oz, una star televisiva, ‘trumpiano’ fino all’osso. Alla Camera, sono una quindicina, 10 a favore dei repubblicani. Arizona e Nevada restano, però, ‘too close to call’.
Basta perché i repubblicani conquistino la maggioranza alla Camera, mentre i democratici mantengono il controllo del Senato. Cifre tutte provvisorie: la conta dei voti non è finita, la litania dei riconteggi, dei ricorsi, delle contestazioni è appena iniziata. Ma il quadro è abbastanza definito: nelle elezioni di Midterm i repubblicani hanno vinto, ma di poco; i democratici hanno perso, ma meno del temuto. E, alla fine, se si confrontano i risultati con le attese, si ha la sensazione che ne escano meglio i democratici dei repubblicani.
Lo tsunami mancato e le prime volte
Non c’è stato né lo tsunami ‘trumpiano’ né l’ ‘onda rossa’. Al più, un po’ di acqua alta. E la diga blu dei democratici ha sostanzialmente tenuto. Se i dati finora emersi dovessero confermarsi a spoglio concluso, sarebbe la peggiore performance di un partito d’opposizione al voto di midterm dal 2002, quando i repubblicani dell’allora presidente George W. Bush trassero vantaggio dal patriottismo indotto dagli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001. “Non è la notte che i repubblicani volevano“, scrive sul New York Times Nate Cohn, il capo degli analisti politici: “Il partito è al di sotto delle aspettative quasi dovunque”.
Anche le statistiche erano dalla parte dei repubblicani: il voto di Midterm, tradizionalmente, ‘punisce’ il partito alla Casa Bianca; e, in questa stessa data, l’8 ottobre 1994, 28 anni fa, i repubblicani conquistarono sia la Camera che il Senato per la prima volta in 40 anni, sotto la spinta dell’allora loro leader Newt Gingrich.
Ci sono tante prime volte: fra le altre, la prima donna senatrice in Alabama; il primo senatore Cherokee in Oklahoma da cent’anni a questa parte; il primo eletto transgender in New Hampshire; il primo governatore nero nel Maryland, la prima donna lesbica governatrice nel Massachusetts. Sarah Huckabee Sanders, repubblicana, ex portavoce di Trump alla Casa Bianca, vince in Arkansas e diventa governatrice (come suo padre). In Ohio, la spunta, per un posto di senatore J.D.Vance, l’autore di ‘Hillbilly Elegy’, un protetto di Trump. Maxwell Alejandro Frost, 25 anni, democratico, ottiene un seggio alla Camera in Florida ed è il primo esponente della generazione Z al Congresso: attivista per la giustizia sociale, è un esponente di March For Our Lives, il movimento che chiede controlli più stringenti sulle armi nato dopo la strage alla scuola di Parkland.
I referendum e i governatori
Dopo quello in Kansas ad agosto, i referendum sull’aborto, dal Michigan al Kentucky e altrove, certificano che gli americani non sono disposti a rinunciarvi, dopo che la Corte Suprema ha levato la tutela federale su questo diritto.
A livello di governatori, occhi puntati sulla Georgia, dove il repubblicano ‘anti-Trump’ Brian Kemp l’ha spuntata, e sullo Stato di New York, dove Ronald Lauder ha speso un sacco di soldi per cercare di riscattare i repubblicani da anni di insuccessi: missione fallita, perché la governatrice in carica, Kathy Hochul, democratica, ne è uscita alla grande.
Per il presidente Biden, la seconda metà del suo mandato si profila difficile: la Camera repubblicana lo costringerà a negoziare ogni scelta e gli impedirà di portare avanti la sua agenda; e c’è una pletora di negazionisti del risultato delle elezioni del 2020 al Congresso – almeno un centinaio di eletti lo considerano un presidente illegittimo, perché il voto sarebbe stato truccato. La linea dell’Amministrazione sull’Ucraina è a rischio: Kevin McCarthy, probabile nuovo speaker della Camera, ha già detto “basta” agli assegni in bianco, economici e militari, a Kyiv; e la sinistra democratica chiede iniziative diplomatiche per innescare un processo negoziale. Per il Washington Post, una vittoria dell’opposizione più netta avrebbe fatto scendere sull’Ucraina “un inverno repubblicano”.
Usa 2024: parte la corsa alle presidenziali
Il voto di midterm non è ancora archiviato e si pensa già alle elezioni del 2024, la corsa alla presidenza. Biden e Trump escono entrambi un po’ ammaccati nelle loro ambizioni di secondo mandato. Gli elettori – diceva un exit poll del Washington Post – sono andati alle urne sostanzialmente scontenti di come va l’Unione e dell’operato di Biden, ma con un’opinione ancora più negativa su Trump.
Il magnate ex presidente vede molti suoi candidati eletti, ma sbaglia mosse cruciali, specie in Pennsylvania, dove due suoi ‘protetti’ perdono sia lo Stato che il seggio del Senato; e soprattutto vede salire, nel firmamento repubblicano, la stella di Ron DeSantis, confermatissimo governatore della Florida, un sodale ora rivale.
I giochi per Usa 2024 si complicano: Trump, che dà appuntamento alla settimana prossima, martedì 15, per annunciare la sua candidatura alla nomination repubblicana, non è affatto sicuro di ottenerla, perché gli cresce contro il prestigio di DeSantis, che ha fatto della Florida un feudo repubblicano. Biden potrebbe ora decidere di non farsi da parte, visto che i democratici sono andati molto meglio del previsto, ma resta un candidato fragile. Nei ranghi democratici, emergono, in prospettiva 2024, due governatori vincenti: Gavin Newsom (California) e Gretchen Whitmer (Michigan). Campane a morto, invece, per le ambizioni di Beto O’Rourke, battuto per la seconda volta in Texas, e di Stacey Abrams, ancora sconfitta in Georgia.
Foto di copertina EPA/MICHAEL REYNOLDS