Lula o Bolsonaro? Questo il dilemma che divide milioni di cittadini in Brasile, chiamati a eleggere presidente, vicepresidente e Congresso Nacional della seconda democrazia più grande dell’emisfero occidentale. Il primo round sarà il “Super Domingo” del prossimo 2 ottobre. In una campagna con 11 candidati (di cui 4 donne), pare che circa l’80% dei consensi sarà catalizzato sui due ex presidenti.
Il Brasile diviso al voto
Avanti nei sondaggi con un solido 47% è Luiz Inácio Lula da Silva, leader socialista del Partido dos Trabalhadores (PT), che ha guidato il Brasile dal 2003 al 2010. Il popolarissimo Lula, riabilitato dalla giustizia dopo un anno e mezzo di carcere per corruzione nell’ambito della maxi inchiesta Lava Jato, insegue un terzo mandato presidenziale. Per ottenerlo, è riuscito a unire varie frange della sinistra verdeoro in un fronte per fermare la rielezione del presidente uscente. Quest’ultimo, il leader del Partido Liberal (PL) Jair Bolsonaro, sta registrando una crescita di consensi negli ultimi giorni di una campagna da inseguitore (oggi al 31%). Bolsonaro sta infatti pagando in preferenze gli errori della sua amministrazione, come la gestione negazionista della pandemia, costata al Brasile più di 600mila morti. Nonostante ciò, il presidente uscente può contare su una solida base di sostenitori, tra cui le comunità agrarie ed evangeliche del Brasile rurale.
Il più accreditato degli altri contendenti è Ciro Gomes (8%), ex ministro di Lula, pronto ad accogliere i voti dei delusi da entrambi i frontrunner. A meno di una sua clamorosa rimonta però, al ballottaggio decisivo del 30 ottobre circa 156 milioni di brasiliani, il più grande bacino elettorale della storia del paese, dovranno scegliere tra Lula e Bolsonaro.
Dibattiti e tensioni
I due politici “più amati e odiati del del paese”, come li ha definiti El País, hanno impostato le loro rispettive campagne elettorali sui meriti dei propri governi e sulle malefatte dei governi dell’avversario, lasciando sullo sfondo le poche proposte di riforma. “Vuoi tornare al potere per rifare ciò che hai fatto con Petrobras?”, ha accusato Bolsonaro durante il dibattito TV dello scorso 28 agosto, riferendosi agli scandali di corruzione tra la compagnia petrolifera pubblica e il governo di Lula. Il leader del PT ha risposto sul piano dell’economia, accusando Bolsonaro di aver “distrutto il paese”. Lula ha ricordato le sue riforme per la riduzione della povertà (tra cui l’assegno Bolsa Família), e promesso di investire in educazione, inclusione sociale e infrastrutture, creando posti di lavoro. Nelle ultime settimane invece, Bolsonaro ha stanziato 7,5 miliardi di dollari per aumentare in chiave elettorale Auxilio Brasil, il sussidio mensile che il governo assegna ai bisognosi.
Secondo alcuni osservatori, un tema cruciale della corsa ai voti sarà l’Amazzonia, decisiva per il voto del 64% dei brasiliani. Proprio per questo, Lula ha ricordato gli accordi internazionali per la salvaguardia dell’ambiente firmati dai suoi governi, e dichiarato di voler fermare le miniere illegali e la deforestazione promossa dal governo in carica. Per Bolsonaro, i temi chiave restano invece quelli legati all’identità: famiglia tradizionale cristiana, libera circolazione delle armi, contrasto alla droga e all’ “ideologia gender”.
Come spesso è accaduto in passato in Brasile, per conquistare la presidenza sarà essenziale il supporto delle élite economiche del paese. La maggioranza dei gruppi commerciali e finanziari sembra preferire una permanenza di Bolsonaro a Brasília, anche se alcuni hanno espresso un inaspettato supporto per Lula.
In questo scenario di intensa polarizzazione, a influire sulla campagna elettorale brasiliana si sono aggiunte la dirompente disinformazione sui social media e le violenze politiche, aumentate nel paese del 67%. La scorsa estate, due membri del PT sono stati uccisi da bolsonaristi per motivazioni politiche. Lo stesso Bolsonaro ha poi sollevato dubbi sulla validità del sistema di votazioni elettronico e sulla neutralità del tribunale elettorale (TSE), minacciando, sulla scia dell’omologo Trump, di non riconoscere il voto in caso di sconfitta. Bolsonaro ha successivamente ritrattato, cercando più consenso tra gli elettori moderati.
Il futuro delle alleanze internazionali
Molti osservatori a nord e a sud dell’equatore si chiedono che Brasile sarà da novembre in avanti.
Nonostante la democrazia nel paese non sembri a rischio, bisogna notare come le minacce di Bolsonaro non siano seminate in un terreno totalmente ostile. Secondo dati raccolti da Latinobarómetro nel 2020, il 40% dei brasiliani è convinto della democrazia, mentre al 36% non farebbe differenza vivere sotto una dittatura, che l’11% preferirebbe. Gli esperti dubitano però che Bolsonaro abbia il supporto dell’esercito per indire un colpo di stato, temuto sia nel paese che all’estero.
Inoltre, la comunità internazionale osserva con attenzione il posizionamento del nuovo presidente brasiliano nello scacchiere internazionale. Da un lato, Bolsonaro ha dimostrato in più occasioni la sua vicinanza alla Russia di Putin, recandosi a Mosca pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina e continuando a importare fertilizzante russo nonostante le sanzioni internazionali. Ma anche Lula è stato ambiguo sulla guerra, colpevolizzando il presidente ucraino Zelensky. Entrambi i leader hanno ottime relazioni con la Cina, e Lula ha proposto di rinegoziare il trattato commerciale tra l’Unione Europea e il Mercosur.
Sempre per Latinobarómetro, pur avendo opinioni favorevoli sui commerci con Stati Uniti e Unione Europea, i brasiliani sono polarizzati anche sulle relazioni con Russia e Cina, che registrano ampio favore. Tutto ciò avviene mentre il Brasile è in prima linea per rafforzare l’alleanza dei BRICS, sponsorizzando l’entrata dei vicini-rivali argentini. La sensazione è che chiunque venga eletto, il Brasile del futuro avrà relazioni intricate con l’Occidente.
Foto di copertina EPA/Fernando Bizerra